Ludovica. Noir atipico. Ottava parte
Racconto di Salvatore Conaci
«È lui il motivo», mi ha detto.
«Il motivo di che?»
«Il motivo del nostro incontro, Patrizio. Da qualche tempo questo tizio mi ha notata a scuola, e da allora è ossessionato da me. Mi ha subito reso la vita un inferno. Regali costosi che non ho mai chiesto; consegne commissionate di mazzi di fiori giganteschi in classe, davanti a tutti; scenate penose quando mi incontrava per strada. Poi, un giorno, ha scoperto un cassonetto pubblico dove io gettavo sistematicamente ogni suo regalo, e lì la cosa è precipitata. Ha cominciato a seguirmi, ad aspettarmi sotto casa quando le auto dei miei genitori non c’erano, a riempirmi di insulti. Alla fine ha scoperto il mio rifugio, il locale dove tu e io ci siamo incontrati. Ha continuato a perseguitarmi anche là, con regali sempre più sproporzionati e scenate insopportabili. Il giorno prima che noi ci conoscessimo mi ha addirittura aggredita e minacciata. Me ne stavo per conto mio nel locale, a leggere: lui è arrivato con le solite buste griffate, e al mio rifiuto ha preso il bicchiere di cola che stavo bevendo e me l’ha vuotato sui capelli. Alla prossima risposta sbagliata te lo spacco in testa, ‘sto bicchiere!, ha gridato. Fortunatamente, il proprietario del locale ha assistito alla scena e gli ha intimato di non farsi più vedere o avrebbe chiamato la polizia. Lui se n’è andato ridacchiando, promettendo invece che sarebbe tornato la sera dopo.»
Grandissimo figlio di puttana.
«Per questo mi hai chiesto di uscire dal locale con quell’urgenza. Volevi che ce ne andassimo prima del suo solito orario di arrivo. Mancavano circa dieci minuti.»
«E tu che ne sai?»
«Lo pedino per conto di suo padre. È preoccupato per le sue spese pazze. Be’, mistero risolto, la destinataria eri tu. Quindi devo ringraziare lui, se ci siamo incontrati.»
Si è fatta rossa.
«Mi credi se ti dico che non ho e non ho mai avuto alcun interesse per lui, vero?»
Certo che le credevo, dannazione, bastava guardarla. Non gli era solo indifferente, ne era disgustata, terrorizzata. Il mio dubbio era un altro. Mi si insinuava nella testa piccolo e insidioso, come un tarlo nel legno. Ero uno qualunque?
«Sono uno qualunque?»
«Che vuoi dire?»
«Sono solo uno con cui uscire in sicurezza da un locale per evitare una minaccia?»
Mi si è avvicinata. Aveva gli occhi più belli del mondo, pallida com’era di paura, nell’ombra di un parco giochi fatiscente. Mi ha dato un bacio come una colata di miele. Ero cotto, miseria ladra. Cotto.
«Non lo ripeterò mai più, fattelo bastare: tra me e te c’è stato qualcosa. Qualcosa di bello, irresistibile e inspiegabile. Altrimenti ti avrei detto chiaramente che avevo bisogno di aiuto. Di aiuto e basta. Ti avrei detto addio subito dopo l’uscita in sicurezza dal locale.»
«Mi hai detto il tuo nome mentre scappavi su per quelle scale. Non un numero di telefono, non un indirizzo, non un nuovo appuntamento. A me è sembrato un addio, e cazzo se ci sono stato male. Un addio rovinato dal caso che mi ha voluto docente di sicurezza nella tua scuola.»
Mi ha sorriso scuotendo il capo.
«Io ero certa che ci saremmo rivisti. Me lo aveva detto il tuo sguardo; mi guardavi come non mi aveva mai guardato nessuno. Avevo visto nei tuoi occhi la mia attrazione per te. Sapevo che mi avresti cercato. Eri un investigatore privato, con la faccia di uno che sapeva come fare per mettersi sulle tracce di una persona. Non ho mai dubitato del fatto che presto ci saremmo rivisti.»
«Ti credo?»
«Ho inseguito la tua auto nella pineta per implorarti di restare con me.»
Mi ha accarezzato il volto, ed era lei, improvvisamente, molto più grande di me. Ero minuscolo, e lei immensa. Mi fissava coi suoi occhi preziosi sfiorandomi la barba, ed era una dea, una madre, la luna. Era la fottutissima forza creatrice dell’universo, e io ero cosa sua, dannazione.
«E ora?», le ho chiesto.
«Ora hai risolto il caso. Puoi raccontare a un padre che razza di stronzo è suo figlio. Fallo pure.»
Abbiamo riso. Tanto. Quanto due beoni dopo una battuta idiota. L’ho stretta a me e l’ho sollevata. Ci siamo separati poco dopo, più leggeri di quello stramaledetto vento che sembrava voler spazzare via la città.
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