Un giorno a Cinisi tra Peppino Impastato

Un giorno a Cinisi tra Peppino Impastato

Articolo di Saverio Di Giorno. In copertina: Peppino Impastato, foto di pubblico dominio

Caro Peppino, qualche mese fa ero a Cinisi. Per la verità, lo confesso, non era la tappa del principale del viaggio. Io e la mia ragazza avevamo già alle spalle due giorni a Palermo nei quali avevamo mangiato l’impossibile. Però a pochi chilometri dall’aeroporto di Punta Raisi (rigorosamente pronunciato con tre r), c’è casa tua: impossibile non inerpicarsi su, fino a Cinisi.

Sembrano passati secoli dalla notte del 9 maggio 1978, la notte di Aldo Moro, ma anche la notte nella quale va in scena il tuo omicidio. E sì va in scena: perché viene mascherato da suicidio. Dicevo… sembrano passati secoli, almeno per me che nella mia testa hai il volto di Lo Coscio ne I Cento passi. Eppure, quando mi trovo là e percorro l’iconica strada che separa casa tua da quella di Gaetano Badalamenti (il boss mandante del tuo delitto) e vedo anziani sprofondati nelle sedie di plastica che osservano sottecchi, mi rendo conto che 45 anni non sono poi molti. Per molti di quegli occhi il tuo volto non è quello di Lo Cascio, ma il tuo. Molti di loro ti ricordano, ti devono ricordare per forza!

Occhi spenti. Li riconosco bene, sono simili a quelli degli anziani dei miei paesi calabri. Penso ironicamente che Cinisi è a due passi dall’aeroporto di Palermo. Intellettuale, conduttore radiofonico nell’epoca delle radio libere: quanto sarebbe stato facile emigrare e cercare fortuna in circoli più avanzati. Invece sei rimasto. Per sempre. E anche loro, evidentemente, quegli anziani sono rimasti. Ma non come te. Si può rimanere per sempre con gli occhi iniettati di sangue e passione. O si può rimanere fino a che uno crepa di vecchiaia con gli occhi spenti e quelli, molti di quelli non tutti erano occhi spenti.

Voglio conoscerti di più, capirti e l’unico modo e alzare quelle palpebre sonnecchianti fattesi serrande e infilarmi nei magazzini della memoria che proteggono. Voglio chiedere a loro come eri, se si ricordano di te, che impressione gli facevo.

Entriamo in un bar. Faccio finta di non sapere dove sia la casa tua (che ora è un museo). Una signora di mezza età alla cassa ce lo spiega. Nel locale c’era anche un’anziane e ne approfitto:

“Vi ricordate Peppino?”
“Si, abbastanza … ricordo che aveva la radio. Lo ascoltavamo tutti. Diceva tante cose, tante cose …” pausa: “simpatiche. Su tutti quanti”. Capito? Le tue denunce, la tua satira a Radio Aut erano cose simpatiche!

La signora al bancone aggiunge: “C’è pure la strada, i cento passi che portano a casa invece di …” non vuole dire il nome proibito. Proibito evidentemente anche dopo 45 anni. A trarla d’impaccio la signora anziana: “di Tano Badalamenti”.

Non siamo soddisfatti. Voglio trovare qualche amico. Percorriamo in discesa quelle centinaia di metri dalla piazza, fino a poco prima di casa tua e trovato un capannello di anziani riproviamo la recita. Due si voltano uno con la pettorina dirigeva il traffico, l’altro era un signore anziano, ma dritto, sorridente e capelli setosi.

Vi ricordate di Peppino. Inizia prima quello con la pettorina: “Lui era una persona degnissima…”. Con tutti i significati che questa frase al sud significa e che mi dispiace sono intraducibili ad altre latitudini. E poi conclude la frase: “Ma aveva le compagnie che lo spingevano … a esagerare diciamo!” L’altro invece rimette in ordine la storia. Letteralmente: “Come non lo ricordo! Stava sempre là vedi? A quel bar a babbiare co’ noi… era una mente avanti… quando Moro fu rapito lui subito disse che c’entravano i servizi, la mafia… noi lo prendevamo in giro, ma ci aveva visto avanti”. Non solo era un amico. Ma anche un compagno, da come parla. Me ne prendo le responsabilità: è evidente che quel PCI e tutto ciò che vi era a sinistra faceva bene non solo alla dignità, ma anche al fisico per come era quest’uomo.

L’aereo ripartiva. Sì, decisamente 45 anni non sono nulla. Quelle risposte sembrano essere di oggi. Le risposte evasive, gli aggettivi, le occhiate: sono le stesse di oggi. Dei miei anziani e dei miei amici. Tu dicevi cose simpatiche, le amicizie ti hanno trascinato via. Non eri tu, non la tua testa, ma le amicizie. E questo lo si fa per paura o ignoranza, peggio lo si fa – ormai l’ho imparato – per due motivi. Il primo perché dare la colpa a qualcun altro significa che tu non urlavi coscientemente, volutamente e quindi io non sono costretto a dire se sono d’accordo o no, ad ascoltarti, a prendere parte eventualmente a controbatterti, Semplicemente la causa è un momento di confusione e non mi riguarda. Secondo, perché in un ambiente estremamente conformista e obbediente dove tutti sono abituati a seguire la legge del padrone concepire un atto autonomo significa ancora una volta mettersi in discussione.

Pensavo che l’aereo mi avesse portato a Palermo per staccare un po’, invece in quegli anfratti avevo ritrovato cocci di Calabria. E mi viene il dubbio che si può anche partire e andare via da Cinisi, dalla Calabria, ma quel pezzo di sud, quello marcio non va via da te. Se non ci fai i conti dicendo … cose simpatiche.

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