Che non sia l’ultimo. Giuseppe Gervasi e la poesia come cura

Che non sia l’ultimo. Giuseppe Gervasi e la poesia come cura

Recensione di Martino Ciano. In copertina “Che non sia l’ultimo” di Giuseppe Gervasi, Pace edizioni, 2023

Ci sono lacrime,
visibili solo allo specchio.
Ci sono lacrime che tutti vedono,
che ridono nel teatro della vita.

Comincio questa riflessione con alcuni versi estrapolati mentre, vagando tra le pagine del libro, cercavo un incipit. Leggere è importante, interpretare lo è ancora di più. In questa trasmigrazione del pensiero, dietro cui si cela un abbandono all’ascolto delle emozioni suscitate dalla lettura, ritrovo una certa simpatia per la nostalgia. Ecco, Giuseppe Gervasi compie il suo viaggio nei ricordi, lo pone in versi e traccia un itinerario che non è solo suo, ma per tutti.

Non è una generosa concessione, ma un disinteressato invito a entrare in questi componimenti, che non chiedono solo di essere letti, ma di essere attraversati con passo lento e con spirito meditativo. La vita è fatta di scelte in solitudine, scrive Gervasi e anche la poesia è una scelta, un mostrare le proprie piaghe e le proprie cicatrici. Ma anche in questo caso, svelare sé stessi non è un esercizio narcisistico, ma una dichiarazione di umanità, un darsi con sincerità capace di strappare le maschere che indossiamo per non soffrire.

Tendiamo a raggiungere la perfezione,
mai raggiunta, neanche sfiorata.
Tendiamo a creare l’assoluto,
anzi il nulla.

Così Gervasi sintetizza il gioco di forza che portiamo avanti con la vita; come se non ci fidassimo della semplicità che ci circonda, della naturalezza che ci ammanta, del poco che si gusta con gioia. Non è un invito alla povertà o alla decrescita felice quello che ci propone il poeta calabrese, ma è una constatazione. In questi versi, infatti, la caduta non è sconfitta, ma ritorno alla Terra, alla sostanza di cui è composta l’umanità… anche quando gioca con la tecnica.

Che non sia l’ultimo diventa così un ritorno alla fanciullezza, quando ogni cosa destava stupore e meraviglia. Ma anche in questo caso, resta sempre viva l’eco di una voce malinconica, un certo disagio davanti al fatto che si è consapevoli di essere ormai diventati adulti, di essere stati del tutto corrotti o, per meglio dire, conformati a un sistema che sappiamo non appartenerci.

Come rispondere a questo dolce veleno che ci viene iniettato e che ci rende schiavi delle illusioni? Forse così:

Ogni giorno è il primo giorno,
la prima luna,
il primo sole.

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