Cara mamma, va tutto bene!
Racconto di Wanda Lamonica
Caro diario, anche questa noiosa giornata volge al termine. Eppure a 16 anni la vita dovrebbe essere una gran figata. Alex e Lisa sono andati a ballare e adesso, di sicuro, si staranno divertendo alla grande, bevendo Shirley Temple analcolici all’inaugurazione del MaraDisco22.
È un fantastico sabato sera, eppure io ho appena messo a letto mia madre. Le ho preparato la tisana alla valeriana, ci ho soffiato sopra per raffreddarla. Le ho rimboccato le coperte, accarezzato i capelli. Non è anziana, non è malata. Ha solo l’ennesima ammaccatura emotiva. Il suo compagno l’ha lasciata qualche giorno fa, con un messaggio sul telefonino. “Ho bisogno di respirare”, le ha scritto.
E tutto questo dopo due anni di lei insieme a lui, ma soprattutto di lui tra me e lei. E io, a quest’ uomo con la dignità che al massimo gli arriva ai malleoli, non auguro di certo l’ossigeno che sembra mancargli. Mio padre? Nemmeno so com’è fatto. Ma immagino benissimo a cosa assomigli la sua faccia. Quando ha saputo della mia esistenza, ha abbandonato mia madre in una specie di stanza ammuffita che una finta pia donna della parrocchia le concedeva in cambio di favori di ogni tipo. Io non sono frutto di un amore ma solo della prima grande illusione di mia madre. Lei fa collezione di illusioni. Però è la stessa donna che mi ha fortemente voluto e che mi ha cresciuto da sola. Un metro e sessanta e 52 chili sono sempre bastati a farmi tutta una famiglia. Lei è stata madre, padre, sorella, amica. Ha fatto i lavori più disparati. Ha raccolto uva, lavato scale, ricamato abiti da sposa, venduto marmellata al mercato.
E adesso, eccola qui, rannicchiata accanto a me. Con quella bocca che dovrebbe essere la solita bocca sbaciucchiona di una mamma, ridotta invece ad una linea rosa tremolante. Le sue mani unite, sono due cuscini ossuti che pregano sotto una tempia. Gli occhi sono fissi su qualche punto oltre la porta, oltre la nostra dignitosa casa. Occhi immobili, lucidi e trasparenti, come quelli dei pesci sistemati sulle bancarelle, su letti di ghiaccio tritato, quando per fortuna il gelo non si sente più. Ma a 16 anni la vita non dovrebbe essere una figata?
Eppure i brufoli fanno occupazione sul mio naso da anni. Il ciclo mestruale mi contorce le ovaie prima, durante e anche dopo l’affaraccio porpora. I professori sono distributori automatici viventi di verbi al condizionale, di troppi “Dovresti”, acidi e frustranti. A volte mi sento triste e, in fondo, di motivi ne avrei tanti per esserlo. Ma credo di essere delusa nel profondo. È mal di gente, mal di universo. La notte guardo le stelle e mi chiedo se ce ne sia una, lassù, a splendere, pure per me. Magari anche senza una punta, una meno luminosa, o più cicciottella delle altre. E, se c’è, allora si trova di sicuro accanto a quella di mia madre che ora dorme, piangendo, mentre sogna quel verme che soffre di apnea. Ma lei è forte.
Ne uscirà viva anche stavolta, ne sono certa. Non so dove una donna ferita attinga la forza per tornare ad amare ancora. Ma, nonostante i miei 16 anni, credo di avere la maturità necessaria per comprendere che essere consapevoli del proprio bisogno di amare, non è mai debolezza, ma forza. E ho anche la certezza che per quanto il cuore di una madre possa dividersi o ricostruirsi di continuo, il posto di un figlio rimarrà sempre immenso ed intoccabile.
“ Va tutto bene, mamma.”
1 commento
bellissimo, complimenti 🤍
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