Un giorno, un’ora, un Capodanno

Un giorno, un’ora, un Capodanno

Prosa e foto di Martino Ciano

Eravamo ancora convinti che le luci splendessero per noi e che nel cielo la fortuna si fosse solo appartata, pronta a farci un regalo comparendo all’improvviso come un sicario. Così aspettavamo l’anno nuovo. Eravamo intenti ad ascoltare l’oroscopo propiziatorio, a bruciare incenso nelle chiese per dire grazie al Signore, a indossare mutande rosse che avremmo tolto per mostrare un rinnovato benessere, un virile senso di speranza.

Così i nostri totem continuavano a restare eretti. Era la notte di San Silvestro, ma noi pensavamo a come uscire dai nostri debiti morali, a come azzerare le paure del domani, a come essere ancora forti e radiosi, a sentirci bambole o pupazzi desiderati. Ci siamo incantati davanti al conto alla rovescia che scorreva su un tabellone, come se la nostra vita dovesse finire, come se a ogni scoppio di petardo corrispondesse il nostro nome.

C’era intanto vicino a noi un tizio che vomitava le lenticchie mangiate durante il cenone. La fortuna l’aveva abbandonato prima della mezzanotte e anche dopo continuava a resistere quella malasorte. Quel vomito ribelle, che odiava l’ottimismo, era l’essere più allegro del cosmo. Suonò anche una campana. Dio azzerò il suo pallottoliere.

Finita la festa ci rimase il tempo per prendercela con qualcosa. D’altronde il nuovo anno rinnova anche le bestemmie. Ci siamo guardati in faccia, abbiamo aperto per rito i nostri occhi davanti al sole novello e abbiamo capito di aver partecipato a gioie differenti ma pur sempre indifferenti. Il vino intanto stagnava in noi.

Post correlati