Burnout. La società della cenere
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Articolo e foto di Martino Ciano
Corriamo verso l’opinione sfrontata. Più la spari grossa, più possibilità hai di vincere un posto in prima fila nel grande teatro dei social network. Attenzione, però, sul palcoscenico non puoi salire, quello è il luogo dei burattinai di professione.
Siamo il popolo di mezzo, composto da bambini che amano il gioco delle possibilità con le sue regole cangianti. Chi ne sta fuori ne è escluso per sempre, ma anche chi decide di provarci resta escluso dalle decisioni importanti. Mentre i prezzi delle merci aumentano, mentre la guerra diventa cibernetica, noi ingurgitiamo schegge di informazione che ci bucano le interiora e attendiamo che tutto cambi così, all’improvviso, grazie all’intervento della Provvidenza.
Cos’è la Provvidenza nella società della cenere? Un nuovo pezzo di legno da ardere con le nostre vane speranze.
Un suicidio di massa è già iniziato da tempo. I sintomi sono sfiducia, indifferenza, rabbia sociale verso avvenimenti privi di consistenza, moralismo, giustizialismo, necrofilia, sessismo, sfrenata eccitazione verso ogni oggetto che non possiamo realmente avere, amore per la lagna, solitudine.
Siamo individui prettamente estetici che provano a vivere la loro esistenza come un’opera d’arte. Ma quest’opera d’arte non contempla il dialogo, il confronto, la presenza dell’altro, bensì la compravendita dell’individuo. Si fa gruppo o squadra solo nel momento in cui si incontrano soggetti che accettano le nostre idee, che mai si oppongono alle nostre scelte. Ogni individuo si fa idolo e, come ogni idolo, pretende solo seguaci.
Tutto è permesso, nulla è vero al di fuori di me. La società della cenere è composta da soli padroncini con pretese di eternità. Nessuno si piega alle ferite del tempo, ma il sangue di Crono ancora continua a scorrere e le sue mandibole continuano a masticare i suoi figli… noi tutti.
Prometeo ormai impera e spaccia il suo fuoco per libertà assoluta. Ovunque ha appiccato incendi. Noi bruciamo e ridiamo tra le fiamme. Noi bruciamo e piangiamo tra le fiamme. Soffriamo, ma non imputiamo alle scottature l’origine del nostro dolore. Libertà assoluta è sinonimo di schiavitù e, infatti, siamo schiavi dell’anarchico estetismo che ci coinvolge emotivamente e corporalmente. Nei giorni dell’ira ci sentiamo vivi, nei giorni della riflessione ci sentiamo morti, e come cadaveri ci aggiriamo per le strade, ma mai ammettiamo che ci manca qualcosa: appartenerci.
Una persona mi chiese se fosse giusto isolarsi, fare come i mistici che si allontanavano da tutto e tutti. No, ho risposto, perché non c’è individuo che possa vivere isolato dal resto del mondo e dagli altri della sua specie. Tutto diventerebbe astratto. Eppure, anche in mezzo a mille persone, molti si sentono soli, avulsi, spezzati, privati di ogni sentimento.
Intanto, brucia ancora il fuoco della Tecnica, il nostro Prometeo senza più spirito, il nostro Archetipo senza più mito. Ci si consuma velocemente, si invecchia velocemente anche se gli artifizi cosmetici ci rendono più appetibili, ci si dichiara impotenti di fronte a troppe situazioni anche se siamo sempre pronti all’azione.
Bruciamo, ma non sappiamo di bruciare.