Bruno Schulz è uno scrittore, un salmone, un messia o forse un nome?
Articolo di Fabio Izzo. In foto “Bruno Schulz”, Public domain, via Wikimedia Commons
«Da oggi la letteratura europea del Novecento conta tra i suoi maestri un nome in più.» Così nel 1970 Italo Calvino salutava la traduzione in italiano dell’unico libro di Bruno Schulz, pittore e scrittore ebreo polacco ucciso nel 1942 dalla pallottola di un ufficiale nazista.
Il 19 novembre 1942 un ufficiale della Gestapo spara a Schulz lungo una strada di Drohobycz. Secondo un’accreditata versione dei fatti, Bruno Schulz venne ucciso per una sorta di scellerata ed insipida vendetta. Il suo corpo non fu mai ritrovato, gettato in una fossa comune. Lo scrittore polacco vive ancora nelle sue opere: “Le botteghe color cannella”, “Il sanatorio all’insegna della clessidra” e “La cometa”. A ciò dovrebbe aggiungersi “Il messia”, un testo andato perduto, di cui sono state ritrovate solo alcune illustrazioni.
Ma chi era in realtà Bruno Schulz? Bruno Schulz è uno scrittore ebreo polacco importante per la letteratura, importante per me e importante per scrittori importanti che da lui sono stati influenzati, come ad esempio David Grossman, Ugo Riccarelli, Cynthia Ozik e Jonathan Safrar Foer.
Partiamo da Cynthia Ozick che nutre nei suoi confronti un’immensa ammirazione. A lui ha infatti dedicato “Il messia di Stoccolma”, un romanzo uscito nel 1987 animato da tratti grotteschi e ossessivi. Il protagonista è un recensore di libri che nessuno legge, Lars è quasi ossessionato dalla sua provenienza. Sa di essere arrivato in Svezia bambino e di esserci arrivato dalla Polonia
Vive solo per i libri, ossessionato dall’opera mancate di Schulz, tanto da autoconvincersi che Schulz sia suo padre. Non solo è convinto, lui sa che Schulz è suo padre. “Ho tutti i particolari del suo viso, lo conosco a memoria. Conosco quasi ogni parola che abbia scritto. Padre e figlio. Ci assomigliamo come due gocce d’acqua. Lo stesso naso – lo vede il mio mento come finisce a punta? E non è neanche una questione di lineamenti: c’è affinità – la sua voce, la sua mente”.
Schulz è quindi il padre di ogni scrittore. Seguendo invece le tracce della sua biografia e del suo romanzo, Le botteghe color cannella, ma soprattutto lasciandosi ispirare dai vuoti di quel libro e di quella vicenda, Ugo Riccarelli dipinge il ritratto di “un uomo che forse si chiamava Schulz”. La storia inizia in una cittadina della sonnacchiosa Galizia imperiale, poi polacca, sovietica e infine ucraina, dove la famiglia Schulz ha un negozio di tessuti al dettaglio. Qui Bruno impara a fuggire dalla realtà dipingendo, scrivendo e soprattutto sognando. Ma non può fuggire sempre, soprattutto quando la Grande Storia arriva anche nel suo angolo di mondo…
Il mondo della letteratura ha perso questo suo padre a causa dello Shoah, tragedia che rappresenta una drammatica perdita in campo letterario (e non solo ovviamente).
Come ci viene descritto nel saggio “Shtetl” di Eva Hoffman (pubblicato da Einaudi) esisteva un mondo davvero unico e irripetibile che viveva all’interno di migliaia di piccoli villaggi dell’Europa dell’Est. Eva Hoffman si è concentrata su un paesino di nome Bransk, nella campagna polacca ai confini con l’attuale Bielorussia, che prima della guerra contava circa 4600 abitanti, equamente divisi fra ebrei e cristiani. Oggi non ci sono più ebrei a Bransk. Soltanto tracce ed echi che risuonano di tristezza, rabbia, senso di colpa e, a volte, negazione del passato. In Polonia continuano a vivere alcune migliaia di ebrei, ma la loro cultura, le loro comunità sono scomparse con la Seconda guerra mondiale. I villaggi ci sono ancora, ma il mondo che vi pulsava, i negozi, il suono dello yiddish e dell’ebraico, non ci sono più. E dire che proprio nello shtetl – diminutivo di shtot, in yiddish «città» – nel corso dei secoli si era realizzata un’esperienza multietnica, caratterizzata dalla compresenza di due società povere, gli ebrei ortodossi e un mondo contadino premoderno; lo shtetl era diventato una realtà sociale insolita, ma dotata di straordinarie risorse. È questa realtà sociale che Eva Hoffman, attraverso l’indagine scientifica e la ricerca sul campo, indaga con minuzia e passione: nel tentativo di spiegare perché nello shtetl gli ebrei furono oggetto della più incontrollata crudeltà da parte dei vicini, ma anche della più spontanea generosità; e nella speranza che una ricostruzione storica obiettiva sia anche un messaggio di tolleranza.”.
Parlavamo di mancanza, di pagine non scritte, di quello che ci è stato tolto, portato via, rubato, strappato con violenza. E a questo punto non possiamo non parlare di Bruno Schulz, l’autore de “Le botteghe color cannella”, scrittore diventato un vero e proprio mito letterario. Lo stesso David Grossman nel suo “Vedi alla Voce Amore” si immagina la metamorfosi dello scrittore polacco che rifugge da tutto, precipitando nel gorgo della storia, mutandosi in un salmone in “Quel paese là”. Un paese che ha visitato, suo malgrado, la zia Itka, il cui numero tatuato sul braccio sarà per sempre muto testimone del campo di sterminio in cui venne imprigionata.
Jonathan Safran Foer ha invece dedicato allo scrittore polacco una scultura letteraria, un romanzo fisico. L’autore di “Ogni cosa è illuminata” ha estrapolato le parole dei racconti “La via dei Croccodrilli”, uno dei libri preferiti di Foer
Tree of Codes, questo il titolo del romanzo/esperimento, rimasto da noi inedito è una vera e propria scultura. Le sue frasi nascono da ritagli, si fanno intravedere nelle pagine successive ma sono tutte frutti del genio di Schulz, rielaborato.
Queste le parole di Safran Foer, intervistato all’epoca, in merito a Tree of Codes: “Ci sono cose per cui hai un amore passivo, altre che ami attivamente. In questo caso, sentivo il bisogno di fare qualcosa con The Street of Crocodiles. Poi ho cominciato a riflettere su come sono fatti i libri, come saranno in futuro, come la loro forma stia cambiando molto velocemente. Se non ci dedichiamo una riflessione approfondita, non andrà a finire bene. C’è un’alternativa agli e-book. E io amo la fisicità dei libri.”
Bruno Schulz, l’autore di Le botteghe color cannella, volle presentare al giovane Witold Gombrowicz, l’amico Stanislaw Ignacy Witkiewick, il creatore del Formismo. Con grande stupore di Gombrowicz, la porta della casa di Witkiewicz venne aperta da un nano, sommerso da una gigantesca palandrana. Il nano cominciò immediatamente a crescere a dismisura…Il genio si era accovacciato a terra per sorprendere gli amici con questa curiosa pantomima: ecco chi è Stanislaw Witkiewicz (1885-1939), uno dei massimi geni del Novecento.
Nei suoi romanzi, nelle sue irresistibili pièce teatrali, persino nei suoi quadri, dipinti sotto l’effetto di svariate droghe si condensano profeticamente tutte le inquietudini del Novecento a venire, con una impareggiabile, ineguagliabile, ironia.