Bret Easton Ellis. Quel “Bianco” che fa tanto rumore
Recensione a cura di Gianni Vittorio
L’ultimo libro di Bret Easton Ellis può essere considerato una summa del suo pensiero. Una via di mezzo tra autobiografia e satira sociale. Bianco ripercorre 30 anni di vita dello scrittore americano, dagli anni 80 ai giorni nostri. Attraverso i suoi libri, molti dei quali diventati film cult, e le sue esperienze private, Ellis si mette a nudo, esprimendo il suo ego come se fosse l’alter ego dei suoi famosi personaggi (e in parte lo è stato davvero). Tra i passaggi più interessanti vi è quello in cui ci viene raccontata la genesi del personaggio di Patrick Bateman, il protagonista rampante di American Psycho.
Per chi non lo avesse letto, il libro narra le vicende di Patrick giovane broker, il quale frequenta i locali più alla moda, le palestre più esclusive e le toilette dove gira la migliore cocaina della città. Ma la sua vita è ricca di sorprese inquietanti e quando le tenebre scendono su New York, Patrick Bateman si trasforma in un torturatore omicida, freddo e spietato. Mi fermo qui per non spoilerare troppo.
Ancora oggi, a distanza di 30 anni e passa, qualche fan si chiede che fine abbia fatto Patrick, che in realtà non è mai esistito, ma è il frutto della mente geniale e creativa di Bret.
Uno dei tanti bersagli del libro è la stessa società (quella statunitense in primis), o meglio, il cambiamento che stiamo attraversando. La crisi che abbiamo di fronte nasce soprattutto dalla mancanza di sensibilità estetica, in quanto i social e i reality hanno permesso una sorta di “processo di democratizzazione delle arti”. Facebook, Twitter ed Instagram hanno preso il posto della letteratura e del cinema, tutto ci viene dato nell’immediatezza, non si pensa più. Il mondo digitale ci costringe ad avere tutto subito, senza lasciare uno spazio alla riflessione. La schizofrenia da tastiera ha preso il sopravvento, specie nella generazione dei Millennials. I social hanno innescato una sorta di competizione sbilanciata e reciproca, basata su ciò che vediamo sulle bacheche e che non sempre riflette esattamente la vita reale.
Tornando indietro nei ricordi della sua adolescenza, lo scrittore ci dice quanto era bello e sincero entrare in un negozio di musica, cercare il disco del tuo cantante preferito e assaporare quel momento. Al contrario, nell’era digitale, c’è la musica liquida che ci ha fatto perdere quei momenti, fatti di piccoli gesti fisici, ma più veri proprio per questo. Nella seconda parte del saggio la critica viene rivolta alle corporation, considerate la causa principale del mondo omologato in cui viviamo oggi. “Siamo talmente conformisti che non si è più capaci di distinguere un individuo dall’altro”. Lui stesso assiduo frequentatore di Twitter, sa bene che è difficile stare fuori dal circo mediatico, siamo tutti maschere dei personaggi che ci creiamo.
Verso la fine del libro l’autore di Meno di zero ci lascia con una riflessione amara, ma illuminante e sincera su quello che siamo diventati.
“Dal 2016 in avanti, New York è Patrick Bateman all’ennesima potenza. E malgrado le connessioni internet, le persone si sono sentite più isolate e alienate. Durante il suo regno negli anni Ottanta, Patrick aveva ancora la capacità di nascondersi, una possibilità che semplicemente non esiste più nella nostra società del tutto esibizionista.”