Il navigatore del diluvio. Mario Brelich e il vino della malinconia
Recensione di Martino Ciano – già pubblicata su Libroguerriero
Quella di Mario Brelich è una narrativa controcorrente. Laddove la saggistica diventa romanzo, le parole si trasformano in poiesi e linguaggio universale. Brelich, scrittore italo-ungherese morto nel 1982, dà alle stampe, nel 1979, Il navigatore del diluvio, messo nero su bianco vent’anni prima. L’opera ruota intorno a Noè, padre dell’umanità riformata da Dio dopo il grande acquazzone che seppellì l’uomo adamitico e la cattiva stirpe di Caino. Noè è un uomo giusto, appartenente alla discendenza di Set la quale ancora ricorda con timore la maledizione di Dio nei confronti di Caino.
Lui, il grande traghettatore, porta l’umanità verso l’insensatezza. Lui scopre il vino con il quale si ubriacherà. Ma perché tutto ciò avviene? L’umanità era davvero così perversa agli occhi di Dio?
Brelich usa l’ironia, ma non dimentica il racconto biblico e, soprattutto, lo arricchisce di elementi significativi e documentati. Il navigatore del diluvio è un libro ricco di riflessioni, a metà tra il sacro e il profano. Lo scrittore italo-ungherese si pone due domande fondamentali: perché dalla cacciata dal Paradiso al Diluvio, Dio impiegherà millecinquecento anni per verificare la malvagità dell’umanità? Perché a Noè non resterà che il vino? Le risposte si apprendono nel corso della lettura e cercheranno di far luce sulla ancestrale sensazione di spaesamento che l’uomo avverte almeno una volta al giorno, man mano che il mondo gli si svela. E se questo concetto così heideggeriano riecheggia in tutta l’opera, allora avrete già compreso che con questa storia del diluvio ancora dobbiamo chiudere i conti.
Cos’è quindi il vino? Un abbrutimento o un elisir che risveglia in noi l’ebrezza dell’Essere, riportando a galla la nostra onniscienza, caratteristica del Creatore che ci ha plasmato a sua immagine e somiglianza, e il ricordo del paradiso perduto, ancora vivo in quella stirpe che Dio temeva e che seppellì sotto il diluvio?
Sono tutte cose che Brelich mette in rilievo in quest’opera, grazie a due elementi che non dovrebbero mai mancare a uno scrittore, ossia, la malizia e l’ironia. È un libro indefinibile, quindi, straordinario. Da troppo tempo non troviamo in giro opere universali che potrebbero avvicinarci a una letteratura diversa, capace di sviluppare in noi quel senso di ricerca che non ci appartiene più come popolo.