In sette parole. Italo Cirene e la poesia di strada

Articolo di Martino Ciano. In copertina: “In sette parole” di Italo Cirene, VJ Edizioni, 2021
Mi piacciono le parole che nascono dalle scorribande urbane. Si tratta di un’operazione rivoluzionaria, lontana dalle mode e dagli affari mondani. C’è chi investe più del dovuto sul proprio fascino, soprattutto in questo mondo “letterario” in cui si pensa prima al personaggio e solo dopo all’opera. Che oggi l’immagine sia più importante di un verso, di un romanzo o di una qualsiasi pagina scritta, lo abbiamo capito da tempo; è la necessità della spettacolarizzazione che proprio non capiamo, ma forse ciò è colpa di questa paura così contemporanea che proviamo verso la fine, la morte, il dissolvimento dell’Io.
Ma andiamo a Italo, poeta-postino, che ho conosciuto sul web, come spesso accade. Mi ha raccontato un po’ della sua mania di scrivere versi, della sua profonda ricerca che avviene quando fa su e giù per Catanzaro. Il capoluogo calabrese ha le sue pene e le sue gioie, come tutte le città del mondo; ma quando un calabrese decide di parlare dei disagi che vive, “impeto e tempesta” si stuzzicano a vicenda, tanto da rendere tutto ironico.
Di te, che vivi come scrivi,/minuscolo stare o esserci;/di me, straniero della vita,/esule senza nome/che ho solo la mia donna/e pochi versi in tasca…
E di qui è partito il mio viaggio nell’intima scrittura di Italo che, senza pretendere o chiedere aggiornamenti, si è lasciato leggere, perché “dei suoi versi non sa che farsene”. Lo dice sempre: inutile è poetare se la vita non si affronta e non le diamo la possibilità di ferirci, mostrandole proprio le parti molli e più vulnerabili, affinché sia facile per lei colpirci.
Cosa sono i suoi versi? Italo scrive: Sono il mio sogno da sveglio/la storia che diviene leggenda/la mia cura e il mio male necessario… Se il tempo continuerà a scorrere anche senza di noi, se le generazioni avanzeranno e ci dimenticheranno, per quale motivo vogliamo opporci a un divenire che possiamo solo accettare? L’arte di essere chiede anche l’estremo sacrificio di non porsi domande sciocche, che tanto non avranno risposta.
Forse nacqui in un dì/di decadenza e paradossi/perché, a volte, m’inebrio/di versi maledetti/dietro i quali si cela/il volto perverso della vita… Così, la poesia di Italo si fa testimonianza del passaggio di un uomo lungo l’aspra terra calabra… A me, artista senz’arte né parte,/con in mano solo un pugno di versi,/consoli il sole che indora i giorni,/qualche lira in più,/a coprire gli ammanchi di una vita a saldo,/e – valore senza prezzo – il dono di te.