Il lupo della steppa. Quel romanzo di Hermann Hesse che non ha ancora smesso di parlare
Articolo di Martino Ciano. In copertina: “Il lupo della steppa” di Hermann Hesse, edizione Oscar Mondadori
Questo romanzo piacque tanto anche ai ragazzi della Beat Generation e ai giovani idealisti degli anni della Contestazione che andavano in cerca di paradisi artificiali, nonostante l’autore abbia cercato di far capire loro che il suo messaggio fosse un altro, ossia, riscoprire la vita. Hermann Hesse pubblicò Il lupo della steppa nel 1927, ma per questo libro il successo arrivò con molto ritardo. L’opera uscì in un periodo poco favorevole.
Sulla scena tedesca cominciava ad affacciarsi la tempesta nazista, in Italia il Fascismo era in piena attività. Certamente, nessuno pensava alla guerra. Tante cose crescevano in silenzio e furono pochi gli intellettuali che avvertirono “la puzza di bruciato”. Hesse fu uno di quei pochi.
In un’epoca di passaggio i più non si accorgono della tragedia. Essi vengono inghiottiti dalle nevrosi che aleggiano nell’aria; imparano a parlare una lingua diversa, assumono atteggiamenti paranoici, si lasciano cullare dal pensiero dominante. Pochi invece si distaccano da tutto, incominciano a sentirsi inquieti, fuori posto; perdono ogni punto di riferimento. Il loro non è un atteggiamento nichilistico, ma apatico. Harry Haller, il protagonista del romanzo, è uno di quelli che abbandona il gregge e si lascia trascinare dalla sua inquietudine. Ma nonostante questo, non è soddisfatto, perché la sua non è una scelta, ma una necessità, e come tutti coloro che si sentono costretti ad abbandonare il proprio status, non ha una meta, ma spera solo che tutto finisca presto, magari con un pacifico suicidio. Ma la vita è imprevedibile e tale diventa solo per coloro che sono pronti a “vivere”. E sebbene Harry non sia pronto, ci pensa il destino a fargli incontrare una fanciulla che gli mostrerà la vita semplice e l’attimo propizio.
Ma chi è Harry Haller? Per molto tempo è stato un flaccido intellettuale, pronto a combattere, ma in poltrona; fiero sostenitore della pace, ma anche difensore delle sue comodità e dei suoi privilegi. Ma quando il vento cambia, quando l’Europa viene investita dal morbo nazionalista, revisionista e militarista, Harry perde di vista il senso delle cose e diventa un vagabondo. Resta un borghese, perché preferisce vivere nel suo moralismo-di-classe; resta un individualista gentile e garbato; insomma, diventa un lupo solitario che disprezza e si commisera.
Poi, come in una favola, compare una donna che lo porta tra la vita, tra gli eccessi e tra i paradisi artificiali. E, forse, proprio questi aspetti, anni dopo, fecero credere a molti giovani che Hesse avesse scritto, con qualche decennio di anticipo, un manifesto sulla droga, sul sesso e sulla vita di gruppo, ma così non è e non era.
In questo romanzo, Hesse invita all’esperienza, a leggere la vita nelle sue molteplici sfaccettature, a sospendere ogni giudizio, a non fidarsi di chi vuole dividere il mondo in categorie. In Il lupo della steppa bene e male non esistono, perché lo stesso Harry è un figlio del proprio “male interiore” che tende verso una “benevola rinascita”. Ma ogni rinascita passa sempre per una morte violenta che giunge alla fine di un gioco perverso.
Come in Siddharta, anche in questo romanzo, Hesse inserisce quegli elementi della filosofia orientale che gli hanno portato tanta fortuna, ma sono molti gli aspetti che il lettore scoprirà, tanto da arrivare alla conclusione che Il lupo della steppa è un romanzo clamorosamente attuale.