Una questione di Alpha e Omega
Articolo di Gattonero. Foto di copertina di Martino Ciano
Ci sono due date che restano nel tempo, scolpite su marmo, trascritte sui documenti. La data di nascita e quella di morte. A unirle un trattino, a cui nessuno fa caso. Eppure in quel trattino (rilevato da Flaiano, da Williams, da Balašević e da altri), è racchiusa tutta un’esistenza, c’è il racconto di una vita intera, dal primo vagito all’ultimo respiro. Alpha e Omega che, senza questo insignificante trattino, non avrebbero alcun senso. Un ponticello che non ha una definizione temporale prevedibile: che duri pochi secondi ovvero cento e più anni, sempre in quel trattino viene concentrata la storia della singola umanità.
Questa è la breve storia di un trattino agganciato alla sua Alpha, prossimo all’Omega di fine corsa.
Sta invecchiando… glielo dice il calendario, glielo dicono gli acciacchi, glielo dice chi lo conosce quando, incontrandolo, gli tira su il morale con frasi tipo: “Sei un giovanotto, con i miei assai meno anni io sono già decrepito…”, nel mentre in realtà pensa: “Hai poco meno di cent’anni, ma li porti proprio bene tutti, sembri mummificato…”.
E ai cent’anni manca ancora poco meno di un quinto di vita… I primi vent’anni li aveva trascorsi in cattività, in domicilio coatto, colpevole solo di avere perso i genitori quando aveva appena due anni, in un periodo che non prevedeva pietà per chi il destino aveva affidato alla carità di chi poteva. E chi avrebbe potuto, a inizio guerra, accettare l’ignoto di uno scarabocchio che anche il padreterno aveva abbandonato, quando il sopravvivere era impresa primaria? Un bimbo, allora, non era il futuro; era una bocca in più da sfamare, togliendo il boccone a chi ancora era in grado di rendersi utile. C’era chi poteva, ma i più no. Per lui nessuno aveva potuto.
E sì che i parenti non mancavano… Così la presa in carico era stata assunta da un ospizio per vecchi prima e da un orfanotrofio poi. Era stato un “senza famiglia”, di cui Malot anni prima aveva raccontato la vita, ammesso che vita fosse. In fondo aveva vissuto quei vent’anni in una famiglia allargata, variegata da caratteri e dialetti diversi; un periodo di formazione sui generis. Non risultava tra gli adottabili, per cui aveva scontato la sua pena fino all’ultimo giorno.
Fino a quasi 30 anni era stato libero, di quella libertà che vincola più di una prigione. Là, dove era stato prima, c’era chi gli diceva cosa e come e quando e quanto fare; in questa nuova vita le decisioni e le scelte erano solo sue, e non c’era la possibilità di assaporare la serenità dell’essere un vivente in un mondo di altri esseri viventi. Una spada di Damocle virtuale pendeva costantemente sulla sua testa: “se sbagli, paghi!”, era inciso sulla lama. Non aveva sbagliato, mai, anche se le tentazioni non erano mancate. Le aveva, di volta in volta, respinte, ma non per coraggio o per convinzione: solo per paura, paura di fare cose che non aveva mai fatto prima.
Una vita vissuta in camere ammobiliate, di volta in volta trovate in città diverse: tutte uguali, vuote, fredde. In tutti i sensi: dal riscaldamento (quante notti passate con il pastrano addosso, sotto coperte che non riuscivano a dare il calore minimo per poter dormire, per poter sognare), l’acqua dei lavandini; con le periodiche docce calde nei bagni pubblici delle stazioni ferroviarie; in tutto questo affatto diverse dal freddo calore del collegio, anche là niente acqua calda dai rubinetti, d’inverno caloriferi bollenti, ma insufficienti a riscaldare le grandi camerate che lo ospitavano.
E i pasti in trattorie a basso costo, a prezzo fisso per portate fisse, forse fatte di avanzi o di piatti affatto graditi ai paganti a menu; ovvero panini e cappuccini a pranzo/cena. I soldi appena guadagnati erano a malapena sufficienti, e andava bene quando i pagamenti avvenivano al sabato, altrimenti tanti fine mese lo avrebbero visto intento a fare buchi in più alla cinghia per sostenere i pantaloni.
Poi si era sposato… ed era tornato in galera. Una galera benedetta, sia detto per inciso…
Sta invecchiando… guarda il cammino percorso, dalla propria Alpha in poi: quelle che erano curve, tornanti, ostacoli che parevano insuperabili, salite erte e ripide discese, tempi oscuri, ora appaiono come strada levigata, diritta e piana, illuminata dai ricordi che rendono il passato simile a un romanzo rosato. Rosolato al punto giusto.
L’Omega? Sa che c’è, ma non la può vedere, finirà per sbatterci di muso, magari quando meno se lo aspetta. Per ritrovarsi in una cupa, vuota, inutile eternità.