Blonde. Joyce Carol Oates alla ricerca di Marilyn Monroe
Recensione di Antonio Maria Porretti
Preferisco dirlo subito, senza tergiversare: di rado mi è accaduto che un libro fosse in grado di suscitarmi simili, complementari e simultanee reazioni di attrazione e repulsione nei suoi confronti. È successo con “Blonde” di Joyce Carol Oates, pubblicato da La Nave di Teseo, nella traduzione eroica – non fosse altro per le 1069 pagine di testo da restituire in lettura italiana – di Sergio Claudio Perroni. Un percorso che, per varietà e abbondanza, non esiterei a equiparare a un circuito di discese e risalite da montagne russe in versione extra-lusso. Non una biografia ufficiale e nemmeno ufficiosa su Marilyn Monroe, come l’autrice puntualizza nella sua premessa, bensì un romanzo – frutto della sua fantasia – di ricostruzione di fatti ed eventi, scelti come più rappresentativi della donna Norma Jeane Mortersen, prima e dopo che diventasse Marilyn.
Una fantasia che tenderei a immaginare ben supportata e rinvigorita dalla mole di testimonianze e documenti che nel tempo, a partire da quella notte del 3 agosto 1962, ci hanno rivelato molto di lei. Non ultimi, i diari personali dell’attrice, che la Oates inserisce nella bibliografia utilizzata in fase di studio e preparazione. Da tutto questo materiale acquisito, prende avvio l’epopea della Star più celebrata (post mortem) di tutti i tempi. Un arazzo che s’intesse ripassando con ago, e al telaio, ogni stagione della sua vita: dall’infanzia problematica, tra una madre affetta da turbe psichiche e un susseguirsi di collegi e affidi in famiglia, con quel senso d’inadeguatezza che non l’avrebbe più abbandonata. E di seguito, l’adolescenza vissuta all’insegna dell’emarginazione. La giovinezza al laccio di un desiderio di riscatto e un bisogno mai estinto di approvazione, risalendo un passo alla volta su per i colli elisi e posticci di Hollywood. La celebrità tatuatale addosso dall’immagine di bambola bionda e svampita, con tanta croce e poca delizia. La sposa e madre perseguitata dall’ombra del fallimento. La mina sempre più vagante e in balia di alcool, droghe e barbiturici. L’amante di rappresentanza presidenziale ma non troppo. Marilyn, la donna che visse sei volte (seguendo la scansione all’interno del volume) i suoi trenta e sei anni, prima dell’immortalità del mito.
Un romanzo dunque, dove la verosimiglianza raggiunge a volte picchi di una tale aderenza con gli avvenimenti per come ci sono noti o meno, al punto di ritenere che davvero la storia sia andata così; non diversamente. Tuttavia, quando la Oates si lascia prendere la mano e comincia a dar fuoco alla sua penna, ecco che l’esplosione di insistenze, ripetizioni e lungaggini a tutto andare, rischia di compromettere la tenuta e la vigoria delle trame del suo arazzo, deformando e svilendo persino il pathos delle parti a più alto grado d’intensità emotiva. Il suo gongorismo verbale finisce per travolgere e stravolgere gli occhi del lettore; giungendo nel mio caso a chiedermi: ma qui dentro, chi è la vera protagonista? Marilyn Monroe alias Norma Jeane Montersen, o Joyce Carol Oates che scrive un libro su Marilyn Monroe alias Norma Jeane Montersen?
Probabilmente, l’intervento di un buon e affidabile editor, prima che il manoscritto venisse dato alle stampe, me l’avrebbe evitata una simile domanda.
Ps: La foto di copertina ritrae Marilyn Monroe durante le riprese de “Gli Spostati”- “The Misfits”(1961) di John Huston. Il suo canto del cigno. La casa editrice Nutrimenti ha curato una pregevole pubblicazione del testo omonimo di Arthur Miller, utilizzato come sceneggiatura della pellicola.