L’ultima cosa bella sulla faccia della terra. Michael Bible e la ricerca della salvezza

L’ultima cosa bella sulla faccia della terra. Michael Bible e la ricerca della salvezza

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra” di Michael Bible, Adelphi, 2022

Quando di un libro si sente parlare tanto e i pareri sul suo conto sono contrastanti, la cosa migliore da fare è mettere tutto da parte, scansare gli articoli che ci raccontano dell’opera in questione e leggere senza farsi trasportare dai facili entusiasmi. Purtroppo, capita spesso che un romanzo sia più promosso a priori per mezzo del tran tran mediatico che non per il suo effettivo valore. Ciò ha reso molti libri meteore spentesi nel cielo dello stupore entro una manciata di settimane.

Ma andiamo all’opera. Passaggi forti, elucubrazioni mentali e colpi di scena in questo romanzo non mancano. Lo stile è ricercato, nonostante in alcuni punti sembra di leggere “un resoconto” di fatti; ma anche questa scelta non mi ha deluso, perché è capace di rendere il racconto dettagliato ed enigmatico. Infatti, ne viene fuori un quadro puramente oggettivo della situazione, che può essere da spunto per riflessioni di ogni genere.

Cupo e mai ironico. In questo libro domina la violenza, ma anche questa è raccontata senza emozioni, come parte della scena che dobbiamo scandagliare con molta acutezza. Iggy, protagonista materiale e immateriale del romanzo, ha appiccato un incendio in una chiesa; delle persone sono rimaste ferite e tante altre sono decedute; lui viene condannato a morte. Tutto qui.

Ci sono poi altri due personaggi che si intrecciano nella storia, che c’entrano e non c’entrano con tutto ciò che è accaduto, che sono stati plasmati dal dopo, che mettono in evidenza come anche la più grande delle tragedie è solo un fatto che si perde tra le nebbie del tempo. Persino chi lo vive in prima persona o chi ne paga indirettamente le conseguenze, pian piano lo assorbe in quel lago nero che si chiama inconscio.

Ed è questa la sottigliezza di Bible che, sapientemente mimetizzata, sparge per tutto il romanzo. Cercare la felicità vuol dire fuggire da un trauma sepolto, da qualcosa che è in noi e che è capace ancora di dominarci, ma senza farsene accorgere. La felicità è quindi un “sentimento canaglia” che ci spinge alla guerra totale contro noi stessi, pur apparendo come presenza lieta che vorremmo sempre al nostro fianco.

Questa è la metafora che si cela già dietro il titolo del libro, ossia “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra”, a cui potremmo aggiungere anche “capace di ingannarci”. È questo il motivo di una certa “ansia nel raccontare come è andata” e che avvertiamo in alcune pagine nelle quali avremmo voluto sapere di più, in cui molti dettagli non ci vengono mostrati.

Insomma, siamo di fronte a un libro che di sicuro va al di là di certi stili in voga oggi, ma che non può neanche essere definito di “nicchia”. Certamente, ci chiede di andare oltre alla sostanza dei fatti.

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