Segreto a più voci. Fernando Bermúdez e le “rappresentazioni della storia”
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Segreto a più voci” di Fernando Bermúdez, Edizioni Spartaco, 2023. Traduzione di Giovanni Barone
Versioni ufficiali, ufficiose, presunte e false si inseguono tra queste pagine in cui la Storia diventa sostanza duttile; a ogni tassello si agganciano altri elementi sui quali investigare.
E cosa farne degli intrecci, in cui le vite degli uomini comuni mischiate a quelle dei grandi nomi, i quali credono di muovere i fili dell’Universo, vengono districati per poi essere dipanati in un altro gomitolo, affinché persino finzioni, apparenze e ipotesi siano realtà?
Ed ecco la letteratura che sa penetrare la nuda vita. Un po’ come hanno fatto Borges o più recentemente Cărtărescu, anche Bermúdez ci porta a spasso per un multiverso in cui sono le vicende storiche dell’Argentina a diventare scenari che spingono ogni personaggio a interpretazioni clamorose. Persino lui, l’autore di questo romanzo, a un certo punto sente la necessità di infilarsi tra le pagine, perché vuole confondere per un attimo le idee al lettore, stuzzicandolo sempre di più con alcune domande.
Sembra quasi di sentirlo mentre sussurra: C’entro qualcosa oppure no? Questa è la mia autobiografia, un romanzo poliziesco o un’inchiesta?
Ma Bermúdez lo sa che non è possibile rispondere, che così facendo lascerà solo dubbi nel lettore. Il dubbio è però utile in letteratura, un po’ come la sospensione di ogni giudizio. Nonostante questo, al termine del libro, nella narrazione della sua autobiografia, il buon Fernando ci dice che con “Segreto a più voci” è tornato al romanzo dopo ben vent’anni di esilio volontario dalla scrittura. Questa rivelazione, logicamente mi fa pensare: non è che questo libro sia una sorta di autopunizione?
Tutto ha inizio nel 1974, in una stanza di ospedale
Un ragazzino ascolta le ultime parole del padre ormai in fin di vita. Durante l’agonia, l’uomo svela all’adolescente “una teoria cospirativa secondo la quale l’allora presidente argentino Juan Domingo Perón è già deceduto e che un gruppo di congiurati sta cercando di occultare la sua morte per mantenere il potere”. Da qui prendono vita le storie di Paulino, il Paraguaiano, Maria Carmen.
Addirittura, questa donna stravagante, mentre va a portare i fiori sulla tomba del presidente defunto, assiste alla “profanazione della cappella funebre e al furto delle mani del corpo imbalsamato del presidente”. Un fatto che me la fa apparire come la Maddalena che sarà testimone della Resurrezione di Gesù; e proprio tale similitudine, ispiratami dalla lettura del libro, mi ha fatto pensare che ogni lettore, attraverso le sue interpretazioni, può costruire un romanzo del romanzo, mettendo in evidenza l’assurdità di ogni evento.
Anche la mia riflessione, dunque, è una parte dei segreti motivi che hanno spinto Bermúdez a scrivere quest’opera dopo vent’anni di silenzio. E siccome adoro la controstoria e l’anti-romanzo, allora non posso che considerare questo libro una ventata piacevole che smuove un panorama composto da “solide opere in serie”.
Ispira la cruda scrittura
Bermúdez sceglie uno stile asciutto, diretto, che si ciba di ricordi immessi in un flusso isterico che a volte è atarassico, mentre in altre è furioso. Siamo sotto il cielo di una vicenda folle, che smuove la vita di ciascuno, che non fa sconti e non permette di restare indifferenti. Peron è un archetipo; lui è il padre che vige anche dall’oltretomba, o il trauma con il quale convivere e che si è trasferito in un altro, il dittatore Jorge Rafael Videla, che non viene citato nel libro ma che si annusa, perché ogni romanzo è figlio della Storia collettiva e personale, in cui si intrecciano le nostre nevrosi.
Bermúdez ci consegna un’opera irregolare, priva di ogni schema, capace di dare al silenzio meditativo il compito di annullare la contraddizione. Proprio la contraddizione tra finzione e realtà è qui l’unica verità perseguibile, perché tali e tanti sono i percorsi della storia che ogni sentiero imboccato o evitato dà la possibilità di sperimentare un senso; un senso che salva dal caos, dall’indefinibile. D’altronde, al perché dei perché non si potrà mai rispondere.