Benedicta Felice. Riflessi di luce. Poetica edizioni
Recensione di Martino Ciano
La poesia deve scavare, deve giungere al cuore delle emozioni, degli oggetti e delle persone. Quando vestiamo ogni cosa con la nostra intenzionalità, creiamo un rapporto unico e irripetibile, una relazione che interroga il nostro sentire e che attesta il nostro esserci. L’occhio del poeta scruta questa intenzionalità, la rende traccia psichica che, a sua volta, dà forza a quella fenomenologia che svela la vita davanti ai nostri occhi.
Riflessi di luce di Benedicta Felice è quindi svelamento di questo importante processo che si dirama nel tempo e nello spazio, che si sviluppa però in un attimo. Se la rappresentazione istintiva del Mondo aderisce anche con quella intuitiva, allora il nostro sentire diventa la forza motrice di un cammino che immortala il divenire, bloccando l’attimo sfuggente e consegnandolo all’eternità.
Questo processo avviene in tutti, ma solo il poeta sa raccontarlo. Non è un semplice gioco della mente, ma è un’unione tra corpo e anima, tra intuizione e oggettività. Se l’occhio cattura, l’anima racconta attraverso un flusso di coscienza che va sintetizzato e riportato su carta. Il verso è prima di tutto una sintesi, una riproduzione essenziale che si muove lungo il tragitto che collega il particolare, la propria impressione, con l’universale, l’impressione collettiva.
Cammino. Passi lenti nella sabbia/Lascio andare le inquietudini,/dolce preda della salsedine./Cerco un sorriso, salvagente delle tempeste interiori,/naufragate,/in mille perché.
Difficile spiegare cosa si inneschi un poeta. Bisogna leggere le sue poesie sospendendo ogni giudizio, perché per quanto ogni verità sia relativa, il verso scritto è verità che immortala e assolutizza l’attimo. Non c’è un unico punto di vista, ma bisogna aver fiducia di ciò che ci viene detto. La poesia si muove sul rapporto di fiducia che si instaura tra autore e lettore. In questo aspetto si manifesta l’arte, la costruzione di un linguaggio nuovo, di una parola che non è mai indifferente. Ciò che non scuote, che non fa ragionare, che non suscita emozione è chiacchiera.
Ho sentito di nuovo il profumo della libertà, nelle rose di maggio,/appena sbocciate./L’ho sentito forte, come il vento impetuoso che fa tremare/le foglie degli alberi./è bastato poco, il silenzio assordante.
La poesia di Benedicta Felice è fenomenologica; una fenomenologia interiore in cui gli attimi sono vissuti secondo il senso dell’anima, ossia, il sentire. E il sentire pone ogni cosa sotto la luce particolare dello spirito che non fa sconti, che benedice e maledice, che ama e che odia, che purifica e distrugge, che mai si autocensura.