Baby Reindeer: trauma, introspezione e domande senza risposta

Baby Reindeer: trauma, introspezione e domande senza risposta

Articolo di Letizia Falzone. In foto la locandina presa dal web

Baby Reindeer, la miniserie Netflix, ha conquistato il pubblico con la sua trama cruda e toccante, scatenando un acceso dibattito sul tema del trauma e delle sue conseguenze.

Scritta, interpretata e ideata da Richard Gadd, è la storia di Donny, un barista e aspirante comico. La sua vita cambia drasticamente il giorno in cui nel bar dove lavora arriva Martha, una ragazza all’apparenza normale che si invaghisce di lui, arrivando a mandargli numerose mail al giorno, e convinta di essere in una relazione con lui. Da quel momento Donny diventa vittima di stalking da parte della donna e nulla per lui sarà più come prima. La particolarità di questa serie? Tutto è accaduto per davvero; infatti, la storia raccontata è proprio quella della vita di Richard Gadd, perseguitato per quattro anni da una donna che lo chiamava “Baby Reindeer”, ossia Piccola renna.

La serie ci porta nella vita di Donny Dunn, un uomo segnato da un’esperienza traumatica che ha condizionato la sua identità, il suo orientamento sessuale, le sue relazioni e le sue scelte di vita. Lo vediamo alle prese con i fantasmi del passato, intrappolato in una spirale di dolore e rabbia che lo porta a compiere scelte impulsive e autodistruttive.

Baby Reindeer esplora la complessa relazione tra vittima e carnefice. Del carnefice, in questo caso Martha la stalker, vediamo anche la parte più vulnerabile, quella che convince la giovane che quello che sta facendo sia giusto (quando chiaramente non lo è). Tratti notati non solo dallo spettatore, ma anche dalla vittima della storia, ovvero Donny, che prova compassione nei suoi confronti, nonostante tutto.

Questa relazione mostra come il trauma subito possa portare la persona ad assumere a sua volta atteggiamenti di sopraffazione. Donny, infatti, si ritrova invischiato in relazioni tossiche e subisce ulteriori abusi, incapace di spezzare il ciclo di violenza. Questo riporta alla luce il concetto di pluri-vittimizzazione, la tendenza di chi ha subito un trauma ad accumularne altri nel corso della vita.

In soli 7 episodi, Baby Reindeer offre spunti di riflessione profondi. L’esperienza di Donny, specchio di quella di Richard Gadd, diventa un invito all’introspezione. Guardando la serie, possiamo specchiarci nelle sue emozioni e provare a comprendere come i traumi del passato influenzino il nostro presente. Una narrazione incredibilmente forte ed ansiogena. Lo diventa ancor di più quando si capisce che è basata su 41.071 mail, 744 tweet, 46 messaggi Facebook, 106 pagine di lettere e 350 ore di messaggi vocali, che la donna ha davvero mandato al comico.

Ma Baby Reindeer non offre risposte facili. La rabbia e le conseguenze del trauma non scompaiono con la semplice presa di coscienza. Il percorso di guarigione è complesso e richiede tempo e impegno. La serie ci lascia con un’immagine di Donny seduto al bancone, dove tutto è iniziato, a simboleggiare la persistenza del trauma e la fragilità della condizione umana.

Baby Reindeer è un’opera che scuote e fa riflettere. Non è una storia consolatoria, ma un pugno allo stomaco che ci spinge ad affrontare questioni scomode e ad interrogarci sulla natura del trauma e sulle sue conseguenze. È l’esempio perfetto di serie sullo stalking atipica, perché utilizza e analizza tematiche importanti in maniera differente rispetto ad altre dello stesso genere.

La vittima è imperfetta, il carnefice è insicuro, il dolore è allo stesso tempo necessario per trovare il coraggio di parlare e farsi sentire. Richard Gadd non è alla ricerca di compassione e non attua la spettacolarizzazione del suo dolore, bensì se ne libera definitivamente. Una serie dal potere attrattivo elevato che deve essere assolutamente vista, ma soprattutto compresa, non tramite manie di protagonismo dello spettatore, ma tramite l‘immedesimazione.

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