Babele: una torre da abbattere sempre
Articolo di Domenico Frontera
In molti, credenti o non credenti, ma questo scritto non ha un riferimento alla fede, ancora pensano che nel racconto della “Torre di Babele” (Gn 11), attraverso la “confusione delle lingue”, si sia punita l’arroganza dell’uomo nello sfidare il sacro e che se l’uomo non avesse commesso tale colpa, oggi il mondo sarebbe tutto unito e parleremmo una sola lingua. In realtà il mito esprime un concetto molto più serio e profondo; la costruzione della torre di Babele è stato il tentativo, da parte degli uomini, di “edificare” un linguaggio unico e quindi di imporre un pensiero unico.
Dunque, il testo biblico, in nome della libertà di pensiero, polemizza contro la costruzione di una società totalitaria, con una sola lingua e una sola ideologia; un universo senza dialogo, senza aperture, senza autonomia. Il sacro, infatti, non può ammettere dogmatismi, in quanto esso è per definizione il “totalmente altro e l’intimamente nostro” aperto a tutte ed a nessuna de-finizione compiuta.
È il vuoto che continuamente si riempie, senza mai esser colmo, di ogni prospettiva, di ogni visione del mondo, permettendone il confronto. La dispersione delle genti e la confusione delle lingue non furono una punizione, ma la garanzia di una libertà multipla, del pluralismo delle possibilità, la gioia della molteplicità e del suo essere impegno, delle scoperte, degli incontri.
Solo finché il sacro resterà “distante ed immanente”, simbolo, solo finché resterà un chiaro ed oscuro non sapere, ogni dialogo, ogni salda e sempre nuova e reale costruzione, diventerà possibile.