Automa tra i “tismi”

Racconto di Daniela Grandinetti

Ore sei e cinquanta, suona la sveglia. Io odio la sveglia. Sollevo le coperte e sento freddo, mi stendo di nuovo, le ritiro su e ficco la testa sotto il cuscino. Non posso, penso. Mi riaddormenterei di sicuro. Invece tra meno di un’ora dovrò essere davanti a ventinove adolescenti pimpanti. Maledizione.

Metto i piedi nudi sul pavimento e cerco le pantofole. Vado in cucina e preparo il primo caffè, accendo la macchina, scarto la cialda.

(L’edificio sventrato, in piedi muri e scale che pendono come liane spezzate. Quanti piani saranno? Chi viveva lì dentro? Un carro armato nel mezzo dell’inquadratura. Oggi sarà la decima volta che la mandano).

Scaldo un po’ di latte, ci inzuppo tre biscotti, non ricordo che giorno sia oggi. Bevo il rimanente e sciacquo la tazza. Preparo il secondo caffè, lo ingurgito e sciacquo anche la tazzina. La metto sul ripiano perché goccioli nel posto giusto.

Torno in camera, prendo una sigaretta ed esco sul balcone. Fa freddo. Fumo e guardo l’asfalto della strada. C’è una gatto che sta attraversando. I gatti che attraversano la strada mi inquietano, ho sempre la sensazione che arrivi una macchina e ne faccia poltiglia. Corri, svelto.

Rientro  e rifaccio il letto, butto un occhio all’orologio, sono le sette e un quarto. Vado in bagno: rubinetto, acqua, sapone, spazzolino. Il bidet, che siamo gli unici in Europa ad usare. O almeno così dicono. Azioni in fila a cronometro. Torno in camera, i vestiti mi guardano, in attesa, già pronti. Mi spoglio, mi rivesto, afferro i trucchi, ombretto rimmel un filo di rossetto. Sono le sette e trenta. Orologio orecchini cappotto, tracolla e zaino. Tre minuti e sono per strada. Cammino a passo svelto. Volti dietro le mascherine, per lo più ragazzi e ragazze che vivono al semaforo. Otto in punto, sono in classe.  Loro arrivano, io sono stanca. Su la maschera.

Lampi rossi nel cielo, palle di fuoco che esplodono, se ne stanno in seconda fila. Retro-pensieri. Sfoglio il libro, oggi leggiamo Petrarca. Chiare fresche dolci acque.

(Bambini che piangono, ti sventrano il cervello. Soldati che avanzano, corpi a terra senza vita ripresi dai droni, mani violacee e unghie nere in primissimo piano. Elmetti sulla testa dei giornalisti, giubbotti dove sta scritto Press).

Sei ore di cui una di buco, quando esco, appena fuori dal cancello, mi accendo una sigaretta. Arrivo a casa, la tv è accesa, uomini e donne, i politici, parlano, dicono cose, ma non li ascolto. Di nuovo immagini, case sventrate.

(Chissà chi ci viveva là dentro. Un carro armato. C’è sempre un carro armato che non sai se sta lì a sparare o a intimorire, per difendere insomma. Tute mimetiche, fucili e mitraglie).

Mangio solo il primo, la pasta è un po’ scotta, la mela aspra. Sparecchio, spazzo, a terra ci sono ombre di briciole di nessun pane consumato. Prendo il caffè, poi vado sul balcone a fumare. Fa freddo, spengo la sigaretta e rientro. In TV una donna parla con accento straniero, non riesco a fissare l’attenzione. Poi un ospite, un cantante invecchiato d’altri tempi, una canzone. Me ne vado al pc, faccio una partita a Candy Crash prima di riprendere a correggere compiti.

(Colpi. Chi spara? Chi viveva in quelle case sventrate? Donne uomini bambini anziani. O forse nessuno. Morti, vivi. Era un ospedale. No non lo era più. Era vuoto).

Un’occhiata a Facebook, litigano post. Uno contro l’altro, si fanno la guerra senza armi.

La tv sta accesa tutto il giorno, fino a sera, fino a quando me ne vado a letto e fatico a prendere sonno. La guerra è lontana, non ho paura, la guerra non è qui. Sta in tv. Leggo fino a che non sento le palpebre appesantite. Metto la sveglia (odio la sveglia), mi addormento e non sogno un cazzo. E forse va bene così.

Alle sei e cinquanta la sveglia suona, che ne sa di me che vorrei solo dormire? Maledetta. Come al solito non ricordo che giorno sia oggi, riprendo il cerchio dei gesti per non perdere neanche un secondo. Devo essere puntuale.

(Chi viveva in quel palazzo con le rampe di scale penzolanti? Nero di fumo e macerie).

Nella casa c’è silenzio, prendo il secondo caffè la tv è proprio lì di fronte. Duellante. La fisso, mentre il liquido scuro che scende ammazza la notte. Lo schermo è nero, spento, morto, funereo. Quali storie oggi dal fronte? Una storia e una soubrette siliconata, a giorni alterni con ruoli invertiti. La guerra sta lì, lì dentro e basta. (?)

(Chi viveva in quelle case?) Pensieri economici di seconda fila, non avevano abbastanza soldi per il biglietto della prima.

Esco. Le sette e cinquanta in punto. Anche oggi non ho sgarrato neanche un secondo.

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