Un’estate in Aspromonte. Considerazioni di un viaggiatore

Un’estate in Aspromonte. Considerazioni di un viaggiatore

Articolo e foto di Guido Borà

“E po’ vene o piemontese ca ce vo’ bene
Ca pussa essere cecato chi nun ce crede”
Quanno sona la campana di E. Bennato per Musicanova

Un giorno potreste andare “da viaggiatore”, in un Comune dell’Aspromonte “grecanico” a qualche chilometro dalla fiumara Amendolea, a pochi chilometri dalla costa, dove nella piazza principale, a 820 metri sul livello del mare, troneggia un’imponente locomotiva a vapore e una guida del posto vi racconterà che è un monumento all’emigrazione voluto con determinazione da un precedente sindaco… Potreste avere delle perplessità e chiedere più spiegazioni, ricevendo risposte fumose e restando con più dubbi di prima. Nella narrazione autonoma di un territorio – ossia da parte dei residenti – si annidano le insidie più sottili, capaci di reprimere la curiosità dei turisti desiderosi di approfondire la storia locale: notizie poco accurate, fatti mitizzati, questioni spinose accuratamente celate con l’intento di offrire un quadro idilliaco del contesto. Potreste passare molte volte davanti a un museo, senza che la solita guida ne faccia menzione – complice anche la vostra ignavia – per scoprire in seguito che è un’eccellenza a livello internazionale negli studi di quel tipo. Nella maggior parte dei casi, in qualsiasi viaggio, vi saranno fornite una serie di informazioni standardizzate, tanto il turista è qui per svago e non deve pensare ai problemi locali. È un cliché di tutti i luoghi turistici di cui bisogna essere avvertiti.

Per comprendere meglio queste terre, una volta tornati a casa, potreste ricorrere all’ottima e copiosa letteratura sull’Aspromonte e la Calabria, così trascurata al giorno d’oggi. Solo a mo’ di esempio, penso al febbrile romanzo “Sulla riva dello Ionio” di G. Gissing, scrittore di età vittoriana dalle alterne fortune personali, partito alla volta della Calabria all’infruttuosa ricerca di una Magna Grecia idealizzata. Un viaggio che, per godimento del lettore, si trasforma in una geografia sentimentale del Sud Italia.

Africo e Casalnuovo si ritrovano nelle pagine dello splendido resoconto odeporico di N. Douglas “Vecchia Calabria”, quando riferiva di due borghi talmente poveri nei quali, dopo il terremoto del 1783, era stato abbandonato l’uso della moneta per ritornare al baratto. Sia Gissing sia Douglas viaggiavano, il primo con mezzi pubblici, il secondo a piedi, portando con sé casse di libri allo scopo di studiare il territorio. Gli scritti di U. Zanotti Bianco, tra i primi in Italia ad intuire l’importanza del capitale umano e a promuovere l’istruzione nei paesini del Sud, hanno portato alle cronache nazionali lo scandalo di Africo: da convinto meridionalista, ha denunciato nei racconti “Tra la perduta gente” le condizioni di vita disumane e la povertà estrema della popolazione – denutrizione, situazione igienico sanitaria inaccettabile, analfabetismo – mentre da archeologo notava come sull’Aspromonte non fosse rimasto più nulla della Magna Grecia.

Un territorio orograficamente devastato da “i torbidi torrenti dalla voce assordante che corrono al mare”, come scriveva C. Alvaro in “Gente in Aspromonte” – l’incipit è stato riadattato da me. Alvaro evidenziava anche, con un certo ottimismo, come il vecchio mondo e i suoi equilibri, si stessero sgretolando irrimediabilmente sotto i colpi della riunificazione. La popolazione, tuttavia, per sfuggire ai signori prevaricatori padroni di terre e bestiame e ai nuovi equilibri nascenti, sarà costretta ad emigrare, come in gran parte d’Italia. ma qui in proporzioni maggiori, per poter riscattare la propria condizione e accedere al benessere.

Anche il web è ricco di informazioni di qualità eccellente e grazie a un docufilm reperibile su You Tube, consigliato da una della guide, potremmo comprendere meglio che l’aspetto più doloroso vissuto dalle popolazioni d’Aspromonte, come perdita di identità e sradicamento, è stato inflitto dalle migrazioni forzate dall’interno verso la costa a causa di terremoti, alluvioni e smottamenti che hanno spopolato paesi e territori montani. La costruzione sul mare di Africo “nuovo”, esempio di cementificazione brutale della costa calabra, così come in tanti casi analoghi, è stato un rimedio peggiore del male: ha trasformato dei montanari, pastori e contadini, in marinai, “gli africoti odiano il mare”, e ha costretto alla convivenza due popolazioni dagli usi e costumi profondamente diversi – Africo e Casalnuovo.

Quando osserviamo da lontano ciò che resta dei borghi con i nostri canoni “non meridiani” è facile giudicare a posteriori, non avendone il diritto, che lì fosse impossibile vivere e che il loro destino non fosse già segnato: è il caso di Roghudi “vecchio”, un paese costruito su un ripido promontorio tra due fiumare e abbandonato negli anni ‘70 dopo alcune rovinose alluvioni, il cui aspetto attuale è dovuto a un disperato tentativo da parte degli emigrati “americani” di ricostruire il paese. Ci è stato offerto il passato di questa terra e sul passato abbiamo in qualche modo riflettuto, ma la narrazione eteronoma, ossia da parte dei forestieri, stanca, per cui concludo esprimendo un rammarico e formulando una domanda a cui è difficile rispondere: che cosa resta del presente?

Il rammarico è di aver interagito troppo poco con la popolazione. Solo l’ultimo giorno ho cercato, senza riuscirci, il contatto con una persona del luogo che in piazza, rivolgendosi al nostro gruppo, diceva ad alta voce, a mo’ di slogan: “andate a dire a quelli del Nord che qui la ‘ndrangheta non c’è, andatelo a dire…” Già la ‘ndrangheta: inebriati dall’ospitalità locale, ci eravamo dimenticati proprio della ‘ndrangheta, parola mai nominata così chiaramente prima di quel momento e convitato di pietra. La vera natura del posto non si scopre da turista, ma solo rapportandosi con la popolazione in situazioni più complesse, ad esempio, una compravendita, con le istituzioni per chiedere una licenza, con la sanità per un infortunio oppure con la giustizia per ottenere quanto reclamato.

Quello che resta del presente è, probabilmente, poco: lo sforzo, più che decennale, degli abitanti di far rivivere grazie al turismo in un’ottica di sostenibilità e di autenticità un’area, ormai quasi spopolata e dalle infrastrutture fatiscenti, è ammirevole. È stato ricostruito, nel solco della moda dei cammini a tema, anche un sentiero dedicato allo scrittore e illustratore vittoriano E. Lear, detto il Sentiero dell’inglese, che visitò Reggio di Calabria e provincia tra luglio e settembre del 1847, lasciando ai posteri una significativa testimonianza testuale e pittorica. Alcune abitazioni sono state adibite ad ospitalità diffusa, un buon antidoto al degrado urbano.

A questo punto, prima di concludere, è d’obbligo un’altra domanda: il turismo sarà sufficiente a ripopolare e rendere attrattivo il territorio per attività più di lungo periodo? Per formazione professionale ho sempre dubitato delle misure che puntano sul turismo come volano dello sviluppo – nella maggior parte dei casi avviene il contrario ma non è questa la sede per discuterne. Il turismo soffre di stagionalità, tanto più breve quanto più periferica è la località. È un’attività a bassa intensità di conoscenza e a basso valore aggiunto – per sintetizzare: in un’industria, e il turismo “non lo è”, a parità di fatica, si guadagna molto di più.

Può portare all’invivibilità – si veda il caso denunciato su questo blog – ma, soprattutto, può snaturare e capovolgere i rapporti sociali ed economici nel territorio – si veda, ad esempio, la gentrificazione di alcuni borghi della Toscana. Se si è convinti di proseguire su questa strada, per non essere travolti dalla prossima crisi economica, si veda, ad esempio, quest’anno quanto ha sofferto il comparto dopo un anno di inflazione elevata, vanno allargati gli orizzonti cercando sinergie e investendo, non solo in infrastrutture, ma prncipalmente in capitale umano – un concetto vago che racchiude un po’ tutto dall’istruzione alla legalità – con la stessa energia di Zanotti Bianco, nella consapevolezza che la concorrenza è agguerrita, la destagionalizzazione è impossibile, i sussidi regionali sono al lumicino e che il Paese arranca in una crisi istituzionale e sociale senza fine.

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