“Asfalto”. La strada, la rabbia e la poesia di Armando Grosso

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Asfalto” di Armando Grosso
Lo sa il poeta di essere solo, di tuonare invano verso il cielo, soprattutto quando è limpido. Il cielo è lì, appare immobile, se ne frega del dolore degli uomini, nulla gli importa della sofferenza che riposa nel cuore di tutti. Pazienza, niente di più si può fare. La poesia allora è un istinto, è una testimonianza della rivolta personale che ciascuno di noi avrebbe il dovere di innescare.
Asfalto è quindi un grido, una traccia, un dire “no” all’indifferenza, perché se il mondo deve andare per forza in un modo, allora nulla impedisce di rispondere fottiti, io vado per altre strade, pur sapendo che questo non servirà a cambiare le cose, anche se si è consci del fatto che nei secoli già altri sono andati controcorrente senza ottenere risultati.

Asfalto è un inno alla strada, è un invito a scendere in quei luoghi in cui “bisogna sporcarsi con la volgarità, con la sfiducia, con il pessimo, con le manie suicide”. È possibile un mondo migliore o siamo condannati? La risposta è “sì” ed è per questo motivo che il poeta calabrese scrive. È la poesia che lo tiene in vita. Armando ha solo scelto una direzione diversa rispetto alla maggior parte: prendere di petto il male, descrivere lucidamente ciò che non va.
I suoi versi sono brevi. Pochi giri di parole, solo stilettate, solo “pessimismo attivo”, solo speranza che sia motore di una rivolta dello spirito. La sua è una poesia improntata sulla concretezza, in cui parlano gli ultimi, quelli che non hanno voce se non nel momento in cui il potere deve ricordarsi di loro. Una condizione del genere abbrutisce gli animi, la poesia invece mitiga l’animalità.
La poesia di Grosso sa di Majakovskij, sa di ebbre maledizioni che solo dopo una lunga fermentazione si tramutano in illuminazioni. Sventurati sono coloro che vivono troppo nella lucidità, su cui il velo dell’incanto si posa per pochissimi istanti. Ecco, Armando appartiene a questa stirpe che mal si adatta a ciò che sta intorno. Non si sente un eroe, anzi un poeta resta sempre lo stolto che va a cercare i fiori in un campo minato… e questo Armando lo sa bene.
Buona lettura.