Arrivano i nostri. Alfio Caruso e gli “alleati” della Mafia nello sbarco in Sicilia
Articolo di Martino Ciano
Che la storia la scrivano i vincitori è cosa nota, altrettanto noto è che certe cose si omettano o vengano lasciate riposare nel sonno dell’apatia, sperando che qualcuno dimentichi. Così è stato per il dibattito sullo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943. Una data importante, perché da lì inizia la lenta e inesorabile fine del regime fascista.
Alfio Caruso racconta attraverso questo corposo saggio fatti e avvenimenti che solo recentemente sono arrivati alle orecchie della massa. Prima si potevano solo intuire, ma non era consentito parlarne troppo apertamente; non sono mancate coraggiose iniziative di divulgazione, stroncate però con il solito velo di indifferenza. Il progetto di mettere piede in Sicilia ha una lunga gestazione. L’isola italiana è un avamposto magnifico nel mezzo del Mediterraneo, piace ad americani e inglesi. Come entrarci? Mafia, massoneria e Vaticano lavoreranno insieme, in maniera inaspettata e, a quanto pare, con ottimi risultati.
La Sicilia è una terra aspra, un luogo incantato che vive felicemente nel suo isolazionismo. Ha le sue leggi, ha le sue istituzioni, ha le sue procedure. Mussolini pensa di averla conquistata. Dalla sua parte ha il silenzio, l’accettazione del regime e uomini che sanno tenere tutto a bada. Ma il Duce non tiene conto di una cosa: in Sicilia nulla è come sembra, ciò che appare non è. Si illude anche di poter scacciare la mafia, considerata una cellula di briganti analfabeti, neanche viene sfiorato dal pensiero che la Mafia è una struttura consolidata, accettata dal popolo, tenuta al riparo dalle intemperie del tempo. Parliamo di qualcosa che va al di là della semplice associazione criminale. Pertanto, l’invio del Prefetto Mori è solo fumo negli occhi. Mussolini è convinto di aver sradicato il male dei mali, invece sarà solo l’inizio della fine. Cosa nostra infatti non è uno slogan o un nome in codice, ma un progetto indipendentista. I siciliani non si sentono italiani, ma cosa propria.
Intanto negli Stati Uniti…
Con il regime fascista, i siciliani sanno essere abili doppiogiochisti. Sanno muoversi in silenzio, hanno un’educazione che oggi diremmo siberiana, appaiono allegri e spensierati e sono guidati da una tenera malinconia che li rende allo stesso tempo spaesati e capaci di adattarsi alle evenienze. Della propria povertà ne fanno un’arma di riscatto ed è un po’ quello che farà negli Stati Uniti Salvatore Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano. Al suo fianco c’è un altro emigrato, ma è un calabrese, ossia Frank Costello. Italiani, brava gente? No, più che altro sono persone che vanno guardate a vista, che sanno muoversi con discrezione e che al momento giusto sanno fotterti. Questo pensano gli statunitensi di noi, ma l’establishment americano sfrutta l’occasione, pur sapendo che Luciano è un mafioso. D’altronde, in guerra ogni compromesso è lecito. A conti fatti, ogni siciliano aveva almeno un parente negli Stati Uniti. Pertanto, quale miglior modo per sabotare l’adesione al Fascismo, o meglio l’accettazione passiva del regime, se non facendo leva sulla sacra istituzione siciliana della famiglia?
Roosevelt e i suoi fiutano l’affare e si affidano proprio ai mafiosi per avere notizie dettagliate sulla Sicilia. Ma non è tutto, la diplomazia compie un altro capolavoro, ossia unire mafiosi, massoni e cattolici. Il Vaticano infatti ha un uomo dalle grandi capacità, Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, il futuro Papa Paolo VI, bravo anche a turarsi il naso quando dovrà trattare con uomini tutt’altro che vicini a Santa Romana Chiesa. La massoneria intanto farà il suo gioco, ossia un po’ di qua e un po’ di là, una stretta di mano con i fascisti, una pacca sulla spalla con gli anglo-americani. In mezzo resta Mussolini, il fesso che pensava di avere tutto sotto controllo.
E i primi a far sì che lo sbarco in Sicilia avvenisse senza troppi intoppi di sorta furono proprio i vertici della Marina italiana, che lasciarono campo libero, dimostrando il solito lassismo nazional-popolare e che nel libro viene raccontato con dovizia di particolari.
Il senso della storia
Alfio Caruso scrive un saggio divulgativo, anche se non mancano quegli interessanti approfondimenti costruiti a suon di documenti. Arrivano i nostri è un libro che squarcia un velo che rischiava di diventare una spianata di cemento su una delle pagine più importanti della nostra storia. Non sono novità quelle che leggeremo tra queste pagine, ma fatti accaduti, discussi, intuiti, ma rimasti per troppo tempo nascosti e in balia di fantasiose e pericolose ricostruzioni che hanno avuto l’effetto di banalizzare il tutto.
Con ciò, Caruso mette anche in evidenza la tragicità di quello sbarco, in cui tanti innocenti persero la vita. Gli anglo-americani non furono teneri; commisero stragi ed eccidi. Certamente, davanti ai nostri occhi verrà svelato in tutto il suo cinismo il fine ultimo della diplomazia, ossia raggiungere l’obiettivo. Fatto sta che gli abili statisti coinvolti in quegli anni non calcolarono le conseguenze. Vincitori furono i mafiosi, che dapprima accarezzarono l’idea di una Sicilia indipendente, tramutatasi poi in concreta libertà d’azione, fino al raggiungimento di quello strapotere che ha minato lo sviluppo di alcune aree della nazione fino agli Novanta del secolo scorso. Vincitori furono gli anti-comunisti, che unirono le forze per contrastare qualsiasi possibilità di influenza sovietica. Vincitori furono i massoni affamati di potere e che volevano mantenere un certo status quo. A perdere furono i soliti: i tonti, gli idealisti, coloro che volevano vivere in pace, chi pensava di ritrovarsi in una nazione democratica, civile e pronta a emanciparsi. Ma questa è un’altra storia… triste.
Sono 326 le pagine di questo libro. Caruso fa nomi e cognomi, indicandoci la via da seguire per le future ricerche. Nonostante tutto, anche lui, per esigenze di lunghezza del testo, riassume. Non basterebbero altri mille volumi per raccontare tutto quello che avvenne in quegli anni ’40 del secolo scorso, quando per portare a termine una guerra, si decise sulla pelle di quei giovani sfortunati e sulle generazioni future. Ci siamo liberati del Fascismo, per fortuna, ma ancora paghiamo il conto. Caruso termina il suo libro con un appunto: Lucky Luciano muore a Napoli nel 1962, la prima guerra di Mafia scoppia poco dopo. Anche questa è storia, ma di questa Storia si preferisce parlare nel tempo libero.