“Appunti di Meccanica Celeste”. La riflessione di un lettore
Recensione di Gattonero. In copertina: “Appunti di meccanica celeste” di Domenico Dara, Nutrimenti, prima edizione 2016
Ho letto questo libro attirato da una bella recensione su Facebook, ma sui social non sempre le recensioni rispondono al reale valore dei testi. Poi ho appreso che il romanzo era stato premiato nel 2017 con lo Stresa, e anche questo mi aveva lasciato perplesso, perché da sempre guardo con diffidenza ai premi librari troppo altisonanti. In più il titolo mi dissuadeva dall’iniziarne la lettura per via di una “meccanica” che mi aveva portato a ritenerlo zeppo di matematiche che, ancorché celesti, non erano proprio pane per i miei denti.
Presentato come romanzo, dopo poche pagine mi sono reso conto che, sì, di un romanzo si tratta, ma non un romanzo di quelli a perdere, di quelli che, terminata la lettura, pensi “avanti un altro!” e lo passi direttamente nel dimenticatoio. C’è di tutto in questo lungo racconto, dal bucolico al teologico, dal tragico al comico, al filosofico… ogni capitolo costringe a una sosta per approfondire in sé quanto letto, a constatare nel proprio intimo di quanta ignoranza si è intrisi; ignoranza magari non sempre colpevole, ma pur sempre di ignoranza si tratta.
C’è, nel testo, un personaggio che mi ha riportato alla mia seconda infanzia, affatto felice, in cui avevo avuto modo di vedere, conoscere, quasi frequentare, un ‘raccoglitore’ di foglie; non le suonava, le metteva semplicemente in tasca e rifuggiva da chiunque cercasse di portargliele via. Ma questo è solo un episodio, personale per giunta, che mi ha colpito e che ha tracciato nel cuore un moto di simpatia specifica verso la poesia insita del personaggio.
Il continuo inserimento nel testo di termini dialettali calabresi, lungi dall’essere stroncante nella lettura, invoglia a ‘tradurre’ le parole affidandosi alla logica del discorso. Alcune finiscono per entrare nel lessico corrente, per altre è necessario indovinare, alcune (lasciata ogni speranza) sono rimaste incomprensibili, senza peraltro nulla togliere al valore del racconto. Anzi, è stato arricchito di fantasie obbligate, forse non rispondenti al pensiero dell’Autore, ma rimaste pendule come grappoli bianchi di vischio dai rami di una grande quercia.
Si tratta di un libro d’una dolcezza amara nella più parte, di una perfidia incredibile in altre, ovunque di una profondità di pensiero che mai mi sarei aspettato da un romanzo, iniziato senza entusiasmo e finito con le mani alzate in un tacito applauso.