Contro Antigone. Eva Cantarella e l’egoismo sociale
Recensione di Antonio Maria Poretti. In copertina: “Contro Antigone” di Eva Cantarella, Einaudi, 2024
Un titolo che non teme certo di suscitare perplessità e obiezioni, altrettanto in grado di produrre quella quantità di curiosità sufficiente per scoprirne le motivazioni.
Aspettativa che Eva Cantarella non tradisce affatto, argomentando la sua tesi con la solidità della propria formazione giuridica, avendo insegnato a lungo Istituzioni di Diritto romano e greco presso l’Università Statale di Milano, nonché con la perizia di profonda conoscitrice e appassionata esploratrice del mondo antico. In questo pamphlet ci prospetta dunque una visione piuttosto inconsueta, o forse solo scarsamente considerata, su una delle tragedie più emblematiche e rappresentative (oltre che rappresentate) giunte a noi in eredità dalla Grecia del V secolo avanti Cristo. Basti pensare che tra parafrasi e riscritture se ne contano ben 1530 derivazioni.
E quando ci si accosta alla tragedia greca, non è possibile eludere e prescindere dallo zeitgeist che vi fa da sfondo: un’Atene sempre più impegnata a gestire minacce interne ed esterne alla sua sicurezza.
Nel caso specifico di “Antigone“, Sofocle dava voce a uno dei dibattimenti che più gravavano sulle decisioni e sulle scelte dell’Areopago cittadino: quale la pena più giusta con cui punire chiunque attentasse all’ordine e alla sicurezza sociale? Concedere o meno il diritto della sepoltura a un cittadino che, con il suo operato, si era poi dichiarato “nemico della patria”?
Com’è prassi di tutta la tragedia antica, il luogo dell’azione doveva servire da schermo alla Polis per eccellenza.
L’editto promulgato da Creonte per vietare la sepoltura di Polinice, un monito contro qualunque ateniese intendesse danneggiare i suoi concittadini. Nessun rito di accompagnamento verso l’oltretomba per chi si fosse macchiato in vita di una simile colpa, sia pur appartenente alla cerchia più intima e ristretta dei propri familiari. Con l’aggravante che una tale concessione non solo passasse per un segno di debolezza da parte dell’autorità, ma potesse a sua volta generare degli epigoni, fornendo dunque un pessimo modello di etica civile.
Nella sostanza, il conflitto che oppone Antigone a Creonte è lo stesso che provoca lo scontro tra chi vuol far prevalere il bene individuale e chi invece intende affidarsi all’ imparzialità di una legge. Prendendo le mosse dalle parole del testo, Eva Cantarella ci pone inevitabilmente di fronte a una domanda: il comportamento di Antigone è più eroico o egoista?
La sua scelta non è del tutto esente da una forte attrazione che essa prova nei confronti della morte, incurante dell’affetto e della paura con cui la sorella Ismene cerca inutilmente di allontanarla dal suo intento; superiore perfino al sentimento che Emone – figlio di Creonte e ( probabile) suo promesso sposo – non nasconde nei suoi riguardi.
È alla luce di queste prove fornite dal testo, che il sottotitolo inserito dall’autrice “O dell’egoismo sociale” assume un suo senso più definito. Proseguendo nella sua “arringa” contro Antigone e a favore di Creonte, Eva Cantarella sostiene come sia proprio Creonte il personaggio dal destino più tragico. L’uomo di potere, che in nome e per rispetto di una legge da egli stesso voluta, finirà per perdere e sacrificare i suoi affetti più cari: Emone che seguirà Antigone nella sua condanna, il suicidio della moglie Euridice, l’impossibilità di governare una città di cui si è fatto servitore, rimanendo vittima del suo stesso potere.
Altro argomento a convalida e fondamento della sua tesi, Eva Cantarella lo trova nella netta distinzione che occorre fare tra il personaggio di Antigone cosi come viene presentato e si muove all’interno della tragedia, e il personaggio mitico creato nei secoli successivi, dal preromanticismo in avanti, teso a identificarla come un’eroina che si sacrifica per il trionfo della libertà sulla tirannide.
Al di là di uno schieramento di campo che non è richiesto, che non si pone come fine ultimo di questo breve saggio, ciò che a mio avviso appare più importante è che la realtà, alla fine, non è mai comprensibile attraverso assolutismi di qualunque tipo, applicando il filtro del tutto bianco o nero.
Qualunque principio può essere buono di partenza, ma è solo confrontandosi con la realtà delle cose che può appurare la sua validità o meno. Lo sapeva Sofocle. Lo sapevano i nostri antenati greci. La tragedia è solo un mezzo per ricordarcelo: qualunque espressione di potere che non anteponga il bene comune al proprio è destinato, prima o poi, a decadere