Anna Freud. Lombardo e la storia di una “donna dimenticata”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Berggasse 19. Una donna di nome Anna Freud” di Lucrezia Lombardo, Les Flâneurs Edizioni, 2024
Complessata, ombrosa, sempre pronta a mettersi in competizione con la sorella Sophie, considerata la cocca di papà. L’adolescenza e la giovinezza di Anna Freud, ultima dei sei figli di Sigmund Freud, sono tormentate ma anche ricche di spunti di riflessione, soprattutto per lei.
Nessuno, neppure lei, avrebbe mai pensato di diventare così decisiva grazie alle intuizioni da cui presero forma la “Psicologia infantile e quella dell’Io”. Proprio Anna, convinta che il padre non la amasse, visto che la metteva sempre in disparte, fu poi la seguace più accanita del dottor Freud che, a sua volta, la incitò a non abbandonare la strada intrapresa.
La storia ha però dimenticato Anna e le sue ricerche; da qui il libro di Lucrezia Lombardo, che inaugura la collana “Le Innominate”, curata da Annachiara Biancardino, per il marchio editoriale Les Flâneurs.
Bergasse 19, ossia la strada di Vienna in cui la famiglia Freud ha vissuto fin quando l’avvento del nazismo, con l’annessione dell’Austria alla Germania, non fece decidere all’ormai anziano, stanco e malato Sigmund di trasferirsi a Londra. Era il 1938, il dottor Freud morirà nel 1939. Fu uno strappo doloroso, infatti, in quella casa, Anna era nata e cresciuta come donna e scienziata. La famiglia era giunta tra le mura di quella villetta nel 1891, lei era venuta alla luce nel 1895.
Il merito di Lucrezia Lombardo è sicuramente quello di farci immergere nella vita della studiosa, grazie a una scrittura delicata che non scade mai nel sentimentale, ma resta sempre ancorata alla necessità di fare emergere la figura di Anna in tutta la sua dignità e maturità. Impresa non facile, visto che l’autrice ha immaginato una Freud anziana che compone una lunga lettera indirizzata alla sua collega, nonché amante Dorothy Burlingham.
La confessione di Anna non inventa nulla dal punto di vista biografico, sicuramente dà al lettore importanti spunti che ci fanno scendere negli anfratti di questa scienza tanto citata, ma poco conosciuta, spesso vittima del pregiudizio. Anna infatti parla tanto del suo rapporto con il padre; lo adula, ma lo odia anche nel momento in cui la delude. Per Anna, il fondatore della psicanalisi è un uomo che studia per liberare l’umanità dal male, che pone l’amore al centro di tutto, che pian piano cade nel pessimismo a causa della violenza che vede sia prima che dopo la Grande Guerra, sia con l’avvento del nazismo.
Eppure, è anche un uomo che si mostra imperturbabile, che non riesce a manifestare il proprio dolore, che non ci pensa proprio di mettersi a nudo, soprattutto davanti ai suoi familiari. Prima la morte della figlia prediletta Sophie, poi del nipote, lo demoliscono. Sigmund prova a nascondere tutto, ma non ce la fa, tant’è che si ammala anche lui.
Ma cos’è il dolore? Nessuno lo sa e neanche il padre della psicanalisi ne è immune. Ed è proprio in questo momento che interviene Anna. La sua sensibilità scruta nell’intimo del padre e arriva alla conclusione che è proprio l’infanzia, ossia quel periodo in cui rispondiamo a tutti gli impulsi per la prima volta, il nostro momento formativo. È lì che si formano crepe, piaghe, cicatrici, atteggiamenti più o meno buoni. Vero, anche papà Sigmund sosteneva questo, ma poi aveva abbandonato quella strada, bazzicandola sporadicamente.
C’è un aspetto fondamentale all’interno di questo libro che viene ricalcato in più occasioni: Sigmund Freud dice che alla base della psicologia c’è la filosofia. Infatti, questa scienza non è nata nel nome di una “catalogazione” dei comportamenti umani, ma con lo scopo di dare all’uomo la possibilità di conoscere i meccanismi che lo governano. Questo per dire che il libro di Lucrezia Lombardo oltre a ridare luce a un personaggio messo ingiustamente in secondo piano, tende a rimarcare i veri propositi della psicanalisi.
Freud utopico? Forse sì, come d’altronde tutto ciò che chiede di avere fede; ma possiamo anche rispondere “no” visto che lo stesso si abbandona al pessimismo, riconoscendo nell’uomo una irrazionalità indomabile. Certamente, il libro che abbiamo di fronte ricostruisce alla perfezione la figura di Anna, del suo rapporto con il padre, con la collega-amante Dorothy che sostiene l’intero racconto del libro, anche quando la figura appare più camuffata.
Ma Anna insegna anche qualcosa di profondo al padre, infatti, la sua indipendenza, la sua reticenza verso la vita matrimoniale, quindi anche verso la volontà di diventare madre, meravigliano Sigmund fino a sconvolgere i suoi schemi. Secondo una logica tutta da confermare, ma avallata dal periodo storico che non faceva sconti sugli obblighi imposti alla donna, la figlia fu quella che più di tutti seppe leggere la psicologia infantile; proprio lei che, in forza di certi pregiudizi, avrebbe dovuto essere priva di “istinto materno”.
In poche parole, Anna dimostra che non esistono schemi precostituiti. L’unica cosa vera nell’uomo è la sua imprevedibilità.