Animali parlanti tra umani distanti
Articolo di Gattonero
Ho appena finito la lettura di un libro che racconta di una fauna umanizzata, che vive e si comporta esattamente come gli esseri umani; parla, ama e odia proprio come questi. Sull’onda di precedenti autori che hanno dato vita a racconti simili, penso alle favole di Esopo, a Disney, a Trilussa, a Rodari e decine di altri. E, divertimento innocuo, sono risalito alle origini di questa voce animalesca.
Che io sappia, il primo animale parlante di cui si abbia notizia fu un serpente. Non un serpente qualunque, ma il serpente per eccellenza, quello che la leggenda ha abbinato a una mela che ha fatto più danni di quella di Biancaneve. Dunque, dice la favola, questa serpe se ne stava arrotolata al ramo di un albero, all’interno di un meraviglioso giardino, godendosi apparentemente i raggi di un sole termoregolato da Dio. Guardava, senza malizia o reazioni scomposte, due individui che, completamente nudi, forse ancora implumi, girovagavano felici nello stesso giardino. Aveva notato alcune piccole differenze tra i due, ma il fatto non lo eccitava più di tanto. Come fu, come non fu, a un certo punto sibilò, più che parlare, verso uno dei due, quello che, a occhio e croce, dava l’impressione di essere più disponibile al dialogo con un animale che non era ancora viscido e repellente come poi divenne.
L’aveva approcciato (come individuo, poiché dai pochi indizi in bella vista non poteva sapere che si trattava di una femmina) con la tattica che in seguito sarebbe divenuta prerogativa di chi voleva attaccar bottone con altre o altri individui. Come ti chiami, cosa fai, sei felice, chi è quel tizio che sta con te… vuoi questa mela all’acido ialuronico che ti darà un corpo perfetto e appetibile a chiunque lo vedrà nei millenni a venire?
Aveva chiaramente mentito, sapeva che parlare a costui/costei di conoscenza del bene e del male le avrebbe fatto un baffo, tanto in futuro il bene e il male sarebbero state decisioni sue, soggettive, dettate dai tempi e dai cicli, sovente senza basi logiche o motivazioni accettabili. La sventurata rispose (sì, già lei, molto prima della monaca manzoniana) addentando il frutto che il serpente le aveva allungato. Mentre parlavano si era avvicinato l’altro individuo, incuriosito da quello strano dialogare. Costui, più vecchio della costei di qualche ora, claudicante poiché sbilanciato dalla mancanza di una costola e pure un po’ tonto di suo, nel vedere i segni del morso aveva pensato bene di provare se la sua dentatura corrispondeva a quella del compagno/a, in modo di avere un’indicazione più precisa nella sua individuazione, nel caso si fosse persa.
A nessuno che sia venuto in mente come diavolo avesse fatto un diavolo a entrare in un giardino privato di proprietà esclusiva di Dio e, in subappalto, dei due nostri progenitori. Senza andare a pensare a telecamere e metal detector o altri meccanismi tecnologici, fu mai possibile che sfuggisse all’occhio divino un’invasione del genere? No, dico, si trattava di un occhio che i camaleonti ancora se lo sognano. Con questa versione siamo andati avanti per millenni, tanti millenni che manco si possono contare.
Ebbene, studi recenti avrebbero stabilito che non di un demone si trattava, ma di un innocuo serpentello che, fuori dal coro, aveva visto nella femmina una possibilità di accoppiamento sui generis, che sarebbe poi stato oggetto di racconti spericolati ai suoi compagni di specie.
A supporto, questi studiosi hanno riscontrato nei verbali dell’epoca una data che non corrisponderebbe ai racconti: ossia che al momento del fattaccio (la mela, il morso, la cacciata, ecc.) la ribellione dei diavoli verso Dio non era ancora avvenuta, per cui nessun diavolo, così come descritto, poteva essersi infiltrato nel giardino, tanto meno per concupire quella santa donna di Eva.
Senza appigliarsi all’antico detto che “non muove foglia che Dio non voglia”, vale forse la pena di pensare, ad esempio, a una scommessa di Dio con se stesso, un giochetto per passare il tempo e divertirsi un po’: provo a tentazionarli, una parte di me scommette che abboccano mentre l’altra che no. Pleonastico dire che avrebbe vinto sempre e comunque.
Un po’ come la storia del film Una poltrona per due. Con la piccola differenza che in quel racconto filmato, i due protagonisti alla fine trionfano, mentre noi siamo sempre sotto schiaffo, senza riuscire a indovinare chi, di volta in volta, ce lo affibbia. Chi, a suo tempo, ha creato il Padre nostro, la preghiera più gettonata della Chiesa, forse era a conoscenza di questa ‘scommessa’, e non per sbaglio aveva inserito nel finale quel “non ci indurre in tentazione” che per secoli è stato proferito da milioni di credenti. Sbaglio corretto solo di recente.