“Meglio un demonio che un cretino”. Anacleto Verrecchia filosofo incendiario

“Meglio un demonio che un cretino”. Anacleto Verrecchia filosofo incendiario

Recensione e foto di Martino Ciano. In copertina: “Meglio un filosofo che un cretino” raccolta di scritti di Anacleto Verrecchia, a cura di Dario Stanca, El Doctor Sax, 2022

Troppo libero e lontano da ogni gioco di potere, troppo poco interessato alla gloria e al conformismo per essere ricordato. Anacleto Verrecchia è un filosofo di nicchia, o meglio relegato ai margini. Guidato dall’idea di una cultura avulsa dalle scuole di pensiero, dalle verità dei cattedratici, dal chiacchiericcio degli oligarchi del pensiero, egli ha sempre amato la sua zona d’ombra.

Il suo pensiero lo troviamo in questa raccolta dal titolo “Meglio un demonio che un cretino”, a presentarci questo volume è Dario Stanca, che anche attraverso i social ha avviato una campagna di informazione tesa a restituire all’ambiente culturale e a quei gruppi di cultori in cerca di autenticità, un filosofo controcorrente che, attraverso aforismi e brevi scritti, ha demolito con acutezza le storture della nostra epoca.

Nato nel 1926 nel frusinate, morto nel 2012, collaboratore de La Stampa, ma soprattutto Germanista apprezzato maggiormente all’estero, Verrecchia è stato guidato per tutta la vita dall’amore per Schopenhauer, del quale ha condiviso e interpretato il pensiero senza banalizzarlo o rinchiuderlo nello steccato del “pessimismo”, che nel tempo ha reso il filosofo tedesco un pensatore utile solo per certi luoghi comuni.

Grazie a questa reinterpretazione, Verrecchia si è fatto portatore di una filosofia che unisce allo studio anche l’esperienza, quella che si fa tra la gente comune e percorrendo le strade del mondo. È stato amante dei viaggi, della natura, degli animali. Lui che era amico di Konrad Lorenz, il quale dedicò la sua vita allo studio del comportamento degli animali, scardinando anche idee malsane, vide nei loro istinti una genuina vitalità di fronte alla quale l’uomo avrebbe dovuto inchinarsi.

“Tutti gli animali temono l’uomo. Sarà perché intuiscono che egli si definisce persona, parola che vuol dire maschera, e dietro quella maschera si nascondono i suoi istinti”. È il terreno di gioco sul quale Verrecchia si diverte di più: la critica all’umanità, alle sue verità pretestuose, alle sue credenze, alla malvagità innata e alla sua paradossale imbecillità.

Amò guardare il mondo con sarcasmo. Innalzò l’ironia ad arte nobile, grazie alla quale avviene la trasvalutazione di ogni tassello delle svariate strutture di pensiero, tanto da mostrarne le fragilità. Un metodo simile a quello utilizzato da Schopenhauer, che con una prosa semplice e comprensibile, lesse il mondo in maniera innovativa.

Verrecchia canzonò sempre Nietzsche, che da Schopenhauer aveva rubato molti concetti, senza mai citare la fonte. Sempre come Schopenhauer, lui non sopportava Hegel, ma Verrecchia non ebbe parole dolci neanche per i suoi contemporanei, legati a una filosofia di grandi costrutti, di complesse astrazioni che non giungono a niente se non a una confusionaria lettura dell’esistenza.

“Come le accademie d’arte non hanno mai tirato fuori un artista, così le facoltà di filosofia non creano filosofi”.

In questa frase, ma nel testo ce ne sono molte contro l’accademismo e un certo elitarismo culturale, troviamo tutto l’amore che Verrecchia nutrì per il sapere e per l’arte. Un genuino attaccamento, lontano da certe scuole di pensiero che annaspano per essere riconosciute e che, così facendo, producono solo un appiattimento delle idee.

Questa curata da Dario Stanca è una raccolta pregevole con cui ci viene donata una figura tutta da scoprire. La speranza, anche se a Verrecchia poco importerebbe, è che la conveniente miopia di certi ambienti sia per una volta messa da parte.

 

 

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