Amalia. L’amore e la spregiudicatezza di una donna

Amalia. L’amore e la spregiudicatezza di una donna

“Amalia” è il nuovo romanzo di Gregorio Febbo uscito di recente per la PAV Edizioni, “Amalia” o sia odia, o si ama, con tutti i suoi eccessi, io l’ho amata perdutamente e adesso ve ne spiego i motivi. La recensione è di Clelia Moscariello

“C’è un bene che va oltre noi stessi, oltre le domeniche che non capirai, oltre il silenzio che si fa strada, in modo anche prepotente, in un dentro già corroso dalla gente: parole e castigo di attimi di vita amante dei diamanti, ma piccola come un giorno che non ricorderai mai (…)”

Così si apre “Amalia”, il romanzo “esordio” di Gregorio Febbo; ed è proprio così, tra l’altro, che io ho imparato ad apprezzare la scrittura di questo autore, ma soprattutto è in questo modo che io ho iniziato a farmi coinvolgere e a farmi “prendere”, fino ad innamorarmi “perdutamente”, del personaggio fuoriuscito dalla sua fantasia: “Amalia”.

Sì, perché decisamente Amalia o sia odia o si ama, con tutti i suoi eccessi, ma se si arriva ad amarla, se si trova dentro sé stessi tale audacia, se si osa tanto, dopo, accade che ce ne si innamora, per l’appunto, “perdutamente”, così come avviene anche per le sue mille idiosincrasie e contraddizioni. In Amalia, infatti, c’è proprio tutto, c’è ciò che di potente e di preponderante è presente nella stessa esistenza di ognuno di noi tuttavia, all’eccesso.

In Amalia c’è il riuscire ad accogliere, malgrado tutto e nonostante la sofferenza; c’è il saper procreare e partorire, oltrepassando il “dolore”. In Amalia c’è l’assenza di giudizio, la parte “bambina” che è presente in ciascuno di noi e, con essa, anche una giusta dose di “follia”, nonché la voglia di sedurre e di compiacere. Eppure, in Amalia non esiste il senso della “misura”, ed è questo forse che può infastidire qualche lettore meno flessibile. Perciò, secondo me, Amalia o si odia o si ama.

E io, come dicevo poc’anzi, ho amato fin dal primo momento il suo personaggio, che è stato capace di condurmi prima nella sua “dissestata” e singolare vita, e, in seguito, lungo i meandri più reconditi, inesplorati e, se vogliamo, anche “torbidi” e “discutibili” di sé stessa e degli altri attorno a “lei”, senza mai perdere un solo frammento della sua essenza trasparente e cristallina e della sua anima pura e leggiadra.

Proprio niente riuscirà, per fortuna, a “sporcare” ed a “inquinare” “Amalia”.

Con questo romanzo originale e insolito, lo scrittore Gregorio Febbo sembra volerci dire proprio questo e lo fa in modo timido, sommesso, quasi “sottovoce”, mettendo da parte, ovviamente, la voce squillante della eroina o anti-eroina partorita dalla sua mente e dalla sua “penna”. Febbo sembra intendere comunicarci “che la vita non va troppo meditata o presa troppo sul serio, ma che essa va vissuta nel modo più intenso e anche più sincero possibile, perché è solo tirando le somme con le emozioni e con i sentimenti che è possibile trarne bilanci positivi e non fallimenti”.

E quindi, grazie allo scrittore e alla “ipnotica” e “incontenibile” “Amalia” per avermi “passato” sottobanco questo piccolo, ma preziosissimo insegnamento, fino a farmi commuovere nelle ultime pagine; dopo, però, avermi fatto ridere a crepapelle lungo le pagine precedenti. “Amalia” ci insegna, senza avvertire il bisogno di mettersi in cattedra, che la vita sa essere meravigliosa e che sa essere ancora più meravigliosa quando si trova il coraggio di assaporarla totalmente, senza domandarsi troppi “per come” e “perché”.

Forse, la risposta, qualora dovesse arrivare, arriverà solo, in seguito, dopo aver “vissuto”.

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