Lo straniero. Albert Camus e “gli eroi indifferenti”

Lo straniero. Albert Camus e “gli eroi indifferenti”

Recensione di Martino Ciano – già pubblicata su Zona di Disagio

Che nell’indifferenza di Meursault ci sia ognuno di noi è cosa nota. Meno ovvio è che in lui alberghi il tormento di una domanda: qual è il senso delle cose?

Lo straniero di Albert Camus viene pubblicato nel 1942. È un classico, una pietra miliare. Chi lo ha letto non lo dimentica. Non è solo un romanzo ma una cavalcata tra distese di dubbi, esperienze e consapevolezze.

Meursault è un eroe che veste i panni dell’indifferenza. Nel silenzio fa le sue scelte e gioca con la vita e la morte. È di origine francese ma vive ad Algeri. È straniero per vocazione. Non conosce il limite delle cose fin quando non vi arriva e da lì si sporge e gode della profondità del precipizio, che si spalanca sotto i suoi occhi. Ogni cosa sta lì, sull’orlo del baratro. La felicità, la delusione, l’amore, la vita e la morte; nulla è eterno, tutto vive e si disintegra frettolosamente. Le cose di questo mondo non lasciano tracce. Straniero è chi le attraversa; apolide è il cuore, perché è chiamato a migrare in ogni istante.

Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri.

Inizia così il libro di Camus. Meursault deve chiedere due giorni di ferie al suo datore di lavoro… con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: “Non è colpa mia.” Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo.

Non è colpa mia. Se ne lava le mani Meursault. Gli uomini non sono responsabili della morte. Ella non è un affare gestibile. È un accidente assurdo che mette fine a tutte le aspettative. Arriva, strappa via con violenza. La morte è una sentenza definitiva, appellarsi è impossibile.

Ma Meursault la morte sa anche distribuirla.

Uccide un arabo. Non sa perché l’ha fatto, ricorda solo di essersi accanito sul cadavere dell’uomo che ha assassinato. Per questo crudele omicidio sarà condannato alla pena capitale, ma nel corso del processo non si difenderà. Non gli interessa essere assolto. Aspetta in carcere il boia, attende che tutto si compia.

Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d’odio.

Ecco il disagio di Meursault e di un’umanità condannata a morte, in cui gli eroi fanno la stessa fine degli ignavi. Meursault è l’indifferenza del cosmo verso l’uomo. Ogni azione muore nel momento in cui è compiuta. La stessa sorte tocca alle emozioni.

Meursault sa che il verdetto arriverà per tutti.

Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno.

Il disagio è una categoria dell’anima. Non esistono vincitori ma consapevoli sconfitti. L’uomo si riscatta vivendo, ma davanti all’assurdità della vita quotidiana egli è un sofferente che può solo sopportare. Nel suo incedere antieroico, solo la capacità di affrontare il dolore dà valore alle sue azioni. Azioni che nessuno ricorderà, attimi che saranno inghiottiti dall’eternità. L’uomo insomma non può cambiare la storia. Può solo difenderla temporaneamente dall’oblio della memoria, può apportare piccole modifiche, ma non può né cambiarla, né concepirla.

Parafrasando L’uomo in rivolta: l’uomo può solo agire sul male, ma non potrà mai debellarlo perché qualcosa gli sfuggirà sempre di mano.

Lo straniero descrive la condizione principale in cui vive l’uomo e l’origine di tutti i suoi mali. Si è condannati ad essere Sisifo in ogni istante, anche quando si è indifferenti, ignavi o anonimi.

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