Agosto. Rocco Carbone e il suo esordio sulla solitudine dell’estate romana

Agosto. Rocco Carbone e il suo esordio sulla solitudine dell’estate romana

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Agosto” di Rocco Carbone, Rubbettino, 2023

Sono indolenti questi personaggi, appesantiti dalla loro apatia, persi in una continuità forzata in cui ogni azione cerca di dare un senso e una profondità al tempo che scorre.

Agosto è il romanzo di esordio di Rocco Carbone. Pubblicato nel 1993, racconta di Roma e di quelle poche anime rimaste in città in un’epoca in cui Agosto era il mese del grande esodo e della desertificazione delle metropoli.

Sembra un’epoca lontana, anche se sono appena trent’anni dalla nostra, ma in entrambe possiamo cogliere la meccanicità tipica dell’italiano medio: un individuo che viaggia sulla via concreta del perbenismo e della noia mascherata da ricerca della felicità.

Se facciamo questo paragone, ci accorgiamo che tra ieri e oggi non è passato molto tempo, anzi tutto è ancora attuale. Il protagonista è Andrea; è rimasto in città per lavoro. È un giornalista scontento della propria vita, nonostante abbia una posizione invidiabile. Pensa alla sua ex, incontra una sedicenne con cui costruisce una amicizia che non diventerà mai amore, ma quasi affetto paterno.

A fare da cornice quella cronaca nera che non va mai in vacanza, quel sensazionalismo che rende la violenza spettacolo, che si fa notizia da vendere immediatamente, perché rischia di essere inghiottita da qualcosa di più fresco, di più torbido o cruento.

Ed ecco che l’eterno presente, nel quale vive il cronista-protagonista. è l’unità di misura dell’intero racconto. Tutto si accorda al qui-ora. Non c’è differenza, tanto meno altro da aggiungere. Tutto è passeggero, tutto si amalgama nella monotonia, ogni cosa viene codificata sempre attraverso le stesse sensazioni.

Nessuno sembra avere difese proprie, ogni fatto prorompe con foga, distrugge e prosciuga. L’unica arma di difesa potrebbe essere l’indifferenza, ma anche con lei bisogna fare i conti.

Tra queste pagine ci sono personaggi che sembrano usciti dalla penna di Camus, sono stranieri alla vita, incapaci di rendersi conto di quel prima e di quel dopo che dà profondità all’esistenza. In questo circolo vizioso di “immediatezza”, di assuefazione al dolore e all’apatia, tutto è già visto e conosciuto, ogni cosa si consuma.

La certezza che lì fuori, nel Mondo, non ci sia più nulla per cui stupirsi, si alimenta giorno dopo giorno in una asfissiante solitudine, perché l’agosto romano del protagonista di questo romanzo è un passaggio nel deserto del benessere materiale, dell’opulenza, dell’umana cecità.

Un libro da leggere; un’altra prova che accerta la qualità di Rocco Carbone.

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