A tutte le partenze… che ciò che è mai può non essere
Articolo di Martino Ciano
Né per contemplarti né per ordire vendetta contro di te. I miei amici sono partiti anche quest’anno. Perché? Di solo pane non vive l’uomo… neanche di sola bellezza. Forse mi sono già risposto. Io resto e inutili sono tutte le parole su questo argomento, ancora una volta. Sta tramontando il sole su di me e su tanti altri; non c’è nulla di speciale né per me né per altri. Mare e monti, tu sei questa Calabria. Di asprezza e di sensibilità, nient’altro avremmo dovuto aggiungere al tuo paesaggio. Così eri e così dovevi rimanere, ma non ti giudico perché giudicherei me stesso.
Sulla natura
Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere, mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa. Là fui portato. Infatti, là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via. Lascio che sia “Sulla natura” di Parmenide a dare vita al gesto distruttore, anche se creativo, di questa malinconia senza tempo e senza luogo, che mi permette di presenziare qui, su un belvedere da cui lo sguardo cattura lo scorcio dilatato della mia terra. Che io sia uomo del presente o del passato non ha importanza. Una strada si lascia e un’altra si prende; si abbracciano destini come le api si posano sui fiori. Sono un essente tra l’essenza della Calabria, un calabrese smarrito, un uomo che guarda l’orizzonte al di là del quale continua il mondo. Fa paura l’immensità così come si teme una gabbia. Nessuno sa scegliere davvero tra vivere o morire, tra svegliarsi o continuare a dormire. Semplicemente andiamo avanti. Forse i sogni sono falsi come la realtà, come ingiuste sono tutte le partenze. C’è ora il rumore delle onde. È una compagnia scomoda, vorrei ancora più silenzio.
Parmenide è solo
Parmenide è nato poco più distante da me. La sua città si chiamava Elea, poi i romani la battezzarono Velia, ora è conosciuta come Ascea. Lì, oggi si fermano i treni. Parmenide era forse solo come me, come tanti, mentre guardava questo mare, queste vette, questi orizzonti, quando scriveva il suo poema. Io non so scrivere come lui, non sono lui, mai lo sarò, ma credo che quel giorno in cui pensò ciò che poi compose fosse stato ispirato dalla stessa malinconia. All’epoca non esistevano le regioni, le province, né la burocrazia né i campanili. Onde, vette e mare erano le stesse dal Golfo di Policastro all’alto Tirreno cosentino, dal Cilento alla Riviera dei Cedri… siano maledette tutte le denominazioni territoriali. Tutto apparve a Parmenide come Essere. Facciamolo anche noi! Immaginiamo di dissolverci nell’aria e di farci aria stessa. Pensiamo che contemporaneamente possiamo essere acqua, vento, fuoco, roccia, animale, tutto ciò che ci salta in mente. Se ciò ci fosse possibile, allora scopriremmo che siamo parte di un’unica sostanza e conosceremmo il primo trabocchetto nel quale siamo caduti: nulla è separato da noi, ma abbiamo bisogno di dare un nome e una serie di caratteristiche a ogni cosa, perché non possiamo cogliere il Tutto e la sua armonia. Così anche il presente è un fotogramma che mai passa, che non abbandoniamo nelle mani del passato, ma rimane inscritto nell’eternità. E se pensiamo a questo allora si palesa a noi il secondo tranello che ci è stato giocato: di una sola cosa per volta possiamo fare esperienza, anche se tutto è già.
Parmenide è…
Orbene, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola – quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia – è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità – l’altra che “non è” e che è necessario che non sia. Parmenide è al mio fianco, davanti a questo
tramonto, di fronte all’isola Dino. Magari sarà stato altre volte qui, si sarà seduto su uno scoglio di Fiuzzi, avrà pranzato con il popolo che abitava il Palécastro di Tortora. Come me, in questo momento, si sarà sentito spaesato, magari anche lui avrà pensato a un viaggio, a una partenza. Si dice che andò ad Atene, ma non sarà stata una scelta obbligata. E poi lui era vecchio quando decise di partire, ora se ne vanno solo i giovani. Ma forse anche per lui sarà stato facile pensare che fuggire serve a poco, perché puoi andare dove vuoi, ma se non sei riconciliato con la tua essenza, che è la sostanza di cui sei fatto, tutto è vano. Allora ecco il terzo inganno nel quale cadiamo: non sapere cosa siamo e, soprattutto, come e quando siamo noi stessi. Perché attraversare quel sentiero della persuasione, del conosci te stesso, è un vero mistero. Mai percepiamo quanto siamo influenzati da ciò che ci circonda, giacché l’Essere è la nostra sostanza. Pertanto, ti pongo una domanda viandante: chi resta e chi va via quando si parte?
Eterno risveglio
Gesticolo e disegno parole. All’aria consegno tutte le riflessioni e dico loro: Suvvia, andate libere; nessuno vi fermerà. Prendo la bicicletta e mi allontano dal belvedere, il mio presente è ancora lì, immortalato in ogni istante; ora attraverso il Viale della Libertà di Praia a Mare, ma sono anche lì, davanti a quel tramonto, di fronte a quel sole, al cospetto di quell’Isola, in un attimo da cui non potrò più partire.