A sittimana ra zita

A sittimana ra zita

Articolo di Giuseppe Milite. Foto di Pina Labanca

La traduzione letterale di questa frase è: la prima settimana di matrimonio della sposa. Nella realtà odierna questa frase, dalle mie parti, nel Cilento, si usa per definire quel brevissimo periodo in cui si gode di una qualsiasi, sospirata, conquista. Credo che questa definizione sia ampiamente valida per descrivere quello che vale oggi quasi ogni nostra meta, materiale o virtuale che sia: una bella macchina, un bel telefonino, un tanto sospirato paio di scarpe griffate, perché no, talvolta, una meta turistica e tanto, troppo spesso, discutibile altro.

Un “sistema”, senz’altro deleterio e perverso, il nostro, che ci ha ridotti a pestiferi, instancabili, incontentabili, coglitori seriali d’attimi che vivono, letteralmente, “re sittimana in sittimana”. Meglio, allora, gli attimi che si coglievano una volta. Quelli, più o meno, sparsi dentro di noi o, al massimo, nei dintorni di casa: una passeggiata in centro, una visita ai parenti, un risata con gli amici in piazza, una buona mangiata, un atteso bacio, rispettivamente, alla fidanzata, al fidanzato. Tutta roba altamente sostenibile, insomma, e per nulla inquinante o ecologicamente alterante.

Oggi, quasi tutti noi andiamo a cogliere gli attimi, i più disparati, compulsivamente e freneticamente in giro per il mondo; spesso, muovendoci, perlopiù, con modalità esasperate, estreme e non sostenibili. O anche, perché no, alla ricerca d’attimi; magari, acquistando non beni ma mali a caro prezzo e dall’obsolescenza doppiamente programmata: dal produttore e, prima ancora, dalla nostra “sittimana”.

Distruggiamo, inquiniamo, consumiamo preziose risorse ad ogni passo che muoviamo e del tutto, il più delle volte, senza una motivazione seria, ragionata, valida, rispettabile. Allora ditemi, a questo punto, che è tanto, ma tanto tempo che me lo chiedo senza riuscire a darmi una risposta: secondo voi, tra due individui morti, quale differenza potrà mai esserci lassù, se mai dovesse esserci un lassù, se uno dei due, in questo rapidissimo passaggio, in questo vero e proprio via col vento, ha colto un’infinità di attimi mentre l’altro ne ha colti pochissimi o, magari, nemmeno uno? Faccio questa domanda, perché, nel caso le risposte dovessero propendere per ‘nessuna’, allora io mi sentirei incoraggiato a chiedere ai raccoglitori inconsulti e compulsivi di attimi che, pur non avendo, in linea di principio, nulla in contrario alla loro propensione, le loro attività possono avvenire senza procurare danni al presente, che è sempre così breve, e soprattutto al futuro, che di contro, almeno a leggere i libri di storia, si evidenzia, potenzialmente, lunghissimo.

È tanto
tanto tempo che ci penso
e credo
d’essermi convinto
che cogliere l’attimo
è impossibile!

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